Regia di Brian De Palma vedi scheda film
Allora, non diciamo stronzate. Questo film spinge e spingerà di burro, no, perennemehte di brutto. Voi siete brutti, Michelle è molto bella. Dunque, se non vi piace, siete fottuti.
Ebbene, oggi recensiamo un film entrato oramai di diritto nell’empireo della Settima Arte più indiscutibile, una pellicola imprescindibile e vertiginosa, titanica e apoteotica, facente parte indissolubilmente del nostro collettivo immaginario più glorioso, ovvero Scarface, firmato dal geniaccio Brian De Palma.
Scarface, come sappiamo noi cinefili assidui e irriducibili, dura la mastodontica eppur mai annoiante bellezza di due ore e cinquanta minuti netti, assolutamente meravigliosa, irresistibile, magnifica e inconfutabilmente epocale e storica, iconica e mitica. Osiamo dire, leggendaria.
Scarface è dichiaratamente il rifacimento sui generis, personalissimo e fenomenale, del classico omonimo di Howard Hawks con Paul Muni. Stavolta, come sopra appena dettovi, diretto con magistrale personalità da un Brian De Palma che lo reinventò in maniera sensazionale.
Scritto da Oliver Stone (regista ovviamente conclamato che certamente non abbisogna di ulteriori e pleonastiche, superflue presentazioni, però forse non poco sopravvalutato e, con ogni probabilità, oltremisura pluripremiato e oscarizzato, director peraltro successivamente di Ogni maledetta domenica, precedentemente già notevole writer del superbo, sebbene imperfetto, Fuga di Mezzanotte girato da un ispirato Alan Parker, di Conan il barbaro di John Milus e dell’irraggiungibile, epico L’anno del dragone del compianto, immenso Michael Cimino), Scarface, ai tempi della sua uscita nelle sale, stranamente e, in tutta franchezza, inconcepibilmente, fu accolto dall’intellighenzia critica mondiale piuttosto freddamente.
Tant’è vero che, identicamente a tutte le opere di De Palma, scandalosamente mai candidato agli Academy Awards, il che ha dello scabrosamente vergognoso, essendo De Palma uno dei massimi cineasti non solo viventi, bensì di tutti i tempi, Scarface non fu per l’appunto nominato a nessuna statuetta dorata, rimanendo in ogni categoria assurdamente ignorato e snobbato. Davvero scioccante. Oltre che, come poc’anzi scrittovi, dalla svergognata e, oserei dire, impreparata Critica dell’epoca, quasi unanimemente stroncato in maniera tremenda e micidiale.
Ciò, col senno di poi, è infatti e in effetti pazzesco e, nei riguardi del magistrale De Palma, rappresenta a tutt’oggi un affronto dei più scellerati e screanzati.
In quanto, checché se ne dica, malgrado pur odiernamente anche molta Critica “moderna” avanzi ancora nei suoi confronti qualche ridicola e pretestuosa riserva, Scarface è, parimenti all’originale, un capolavoro monumentale e abissale. Sì, lo è e non ha nulla da invidiare al suo capostipite.
Sintetizziamone la trama in pochi ma essenziali, assai salienti tratti:
due profughi cubani, scappati dal regime dittatoriale di Fidel Castro, vale a dire rispettivamente Tony Montana (Al Pacino) e il suo inseparabile compare amicone Manny Ribera (Steven Bauer), espatriano clandestinamente a Miami. Ove, dopo aver svolto lavoretti dei più umili ma soprattutto umilianti, pian piano ascenderanno nell’olimpo dei signori della droga. Grazie specialmente all’intraprendenza infermabile dell’inenarrabilmente ambizioso Tony. Il quale, a sua volta, in virtù dei suoi modi trasgressivi, invero poco virtuosi, da menefreghista e megalomane, col sapervi scaltramente fare, riesce a scalzare e ad assassinare dapprima il suo capo da lui mal sopportato, Frank Lopez (Robert Loggia), rubandogli la sua splendida moglie, Elvira (una bellissima, indimenticabile e bravissima Michelle Pfeiffer, qui al suo passo di qualità davvero rilevante, magneticamente folgorante e, per la sua futura, stellare carriera, irrinunciabile).
Tony forse esagererà, il suo impero si sgretolerà e lui, prima o poi, alla stessa velocità con cui salì nella scala gerarchica dei gangster ricchissimi, nababbi e potenti intoccabili, crollerà con una repentinità e un’agghiacciante tragicità altrettanto spaventosa e mostruosa? Chissà...
Ipnotiche musiche di Giorgio Moroder, fotografia di John A. Alonzo.
Quando un film come Scarface non stanca mai a ogni ennesima visione, anzi, continua in modo impressionante ad affascinare a distanza di circa un quarantennio dalla sua release ufficiale, significa che è un capolavoro, un film artisticamente miracoloso.
Al Pacino, inutile dircelo, glorioso. Forse, nel suo totale ruolo della vita. E stiamo parlando del sig. Michael Corleone della saga del Padrino, dell’interprete strepitoso di Cruising, di Jimmy Hoffa di The Irishman e, a proposito di Brian De Palma, di mr. Carlito’s Way, solamente per citare un’infinitesimale porzione della sua interminabile galleria di personaggi memorabili.
Insomma, come direbbero gli americani, one of the greatest actors of all time.
Nel cast, anche Mary Elizabeth Mastrantonio e F. Murray Abraham. Dici poco...
Parafrasando il grande, salomonico giudice Sante Licheri del Forum che fu, è eternamente deciso: Scarface è un film quasi più figo ed eccitante di Michelle Pfeiffer in questo film e anche in Ladyhawke.
Se non vi piace Scarface, non significa che siete gay, io non sono omofobo ma voi, di sicuro, avete molti problemi al cervello. Che fa rima con quello.
Ah ah, ahuau, motto pacinesco par excellence.
Sì, sono un gigione come Al. Dunque, vi arreco dei problemi? Di mio, ho solo un problema nella vita, diciamocela senza peli sulla lingua.
Non ho una sorella, quindi non sono geloso come Tiberio Murgia/Michele Nicosia detto Ferribotte verso la sorella Claudia Cardinale/Carmelina Nicosia ne I soliti ignoti (però, andava compreso, stiamo parlando di una delle più ex grandi fighe della storia, per la Madonna!), non sono neanche geloso come Tony verso la Mastrantonio/Gina, quasi montata nel cesso dal buzzurro John Travolta dei poveri con tanto di gel da Tutti pazzi per Mary (ah ah), però mi fa sesso, no, mi sale spesso il sangue alla testa quando la mia lei balla con un altro. Poiché non voglio che il sangue di questo qua, un quaquaraquà, ah ah, riscaldi i suoi testicoli e la scaldi, non avendo costui nessuna qualità. Secondo me, neppure la quaglia...
Su questa freddura alla Falotico, ricordate, sono lo sfigato per antonomasia, no, lo sfregiato invincibile, in passato un fregato/fottuto, spacciato ma non spacciatore dei più ottusamente imbattibili, adesso me ne fotto in modo impagabile. Voi invece le pagate, eh, lo so, figli di una malafemmina!
Io non sono Sante Licheri, scambiato da Salvo de Il grande fratello per Dante Alighieri, ah ah, non sono Dante Cruciani/Totò del film succitato di Monicelli ma, obiettivamente, so Il Falò delle vanità, ah ah.
Sì, vi ho dato due freddure al posto di una. Che volete da me? Non sparatemi alle (s)palle a mo’ di Geno Silva.
Purtroppo, anche lui è morto così come il fantasma di Bob di Twin Peaks, alias Frank Silva.
Di mio, sono come il mago Silvan.
Appaio e poi di nuovo sparisco. Alla mia lei dico, ecco, ora sta qua e, fra trenta secondi, sarà là. Ah ah.
Terza freddura, d’altronde non c’è due senza tre e, come dico io, non c’è freddura senza poi, per dirla da Totò de Un turco napoletano, la “stiratura”.
Cos’è la stiratura? Provate a indovinare. Qualcosa che si sposa con fregatura o sfregatura sempre di qualcosa molto duro che entra con fare sicuro nella selva oscura... eh sì, il mio dritto non è smarrito, è teso e ancora penetrante in modo liscio.
Eh già, mie cazzoni, ah ah! Io arrivo al sodo da uomo che potentemente se la suda, forse dopo una Lemon Soda frizzante o ficcante!
di Stefano Falotico
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