Regia di Brian De Palma vedi scheda film
La crisi economica cubana del 1980, sfociata con il cosiddetto “esodo di Mariel, contribuì a favorire in pochi giorni un esodo cubano di oltre 120 mila isolani, approdati con mezzi di fortuna nelle coste della Florida: tra essi, in gran parte galeotti e popolazione poco grata al regime, incrociamo i destini di due piccoli delinquentelli, lo spregiudicato Tony Montana (Al Pacino) ed il bel Manny Ribera (Steven Bauer).
Con questo incipit Brian De Palma attualizza ad un avvenimento di pochi anni prima, ambientato a Miami, la vicenda portata alla notorietà dall’esemplare capostipite datato 1932 da Howard Hawks, ambientato invece durante un’altra crisi, quella del periodo del Proibizionismo nella città di Chicago.
L’ascesa irresistibile da semplice scagnozzo da mezza tacca, giunto nel paradiso del turismo e degli sballi con le scarpe bucate e senza un centesimo, a gran boss dello spaccio, in grado di tener testa al suo capo e di scalzarlo nel momento opportuno, soffiandogli per di più la splendida fredda ed implacabile fidanzata bionda, permette a De Palma, grazie soprattutto ad una straordinaria, epocale ed indimenticabile performance di Al Pacino, scientemente sopra le righe, ed esaltata da una macchina da presa pazza quanto il suo personaggio, di sfoderare la grinta e l’energia incontenibile che il gran regista era solito riservare ai suoi efferati, deliranti e meravigliosi thriller hitchcockiani.
Splendido, sin avvincente risulta con De Palma a tirare le fila del racconto, seguire l’evoluzione del personaggio, la sua formazione rapida all’interno di un mondo dove la sopraffazione ed il tradimento rendono vincitore il più accorto e il più dritto: E Montana è un tipo tosto che d’aspetto viene sottovalutato e snobbato: ma intanto lui osserva ed impara rapidamente, furbo e scaltro, maestro nel gestire con faccia tosta e spirito dissimulatorio situazioni al di sopra della sua portata, e a sopravvivere alle situazioni più ambigue e controverse, come quelle suicide a cui viene condotto quasi per scommessa o divertimento come agnello sacrificale, e nella quale ne esce pesto, insanguinato ma vivo, a seguito della ormai notissima lunga sequenza della strage con la motosega nel bagno della camera d’hotel che ospita il covo dei ricettatori colombiani.
Poi l’ascesa come negoziatore presso i trafficanti boliviani, il divenire braccio destro del potente Lopez (Robert Loggia), che lo addestra come il suo delfino, decidendo di eliminarlo quando comprende che l’uomo si sta preparando a sostituirlo, impadronendosi pure della fredda, annoiata e viziata, bellissima moglie Elvira, una conturbante e glaciale Michelle Pfeiffer, al suo primo ruolo di rilievo (“passa le giornate a vestirsi, e poi a svestirsi”, dice di lei il marito boss con fare sprezzante).
Montana, nella sua sanguinosa escalation ad un potere brutale, volgare ma di grande temporanea assuefazione, si confronta anche con la propria discendenza già sbarcata sul suolo a stelle e strisce: una madre che lo considera come un diavolo tentatore, ed una sorella (la giovanissima Mary Elizabeth Mastrantonio quasi debuttante) apparentemente virginale, ma al contrario attratta in modo dirompente dai brilluccichii delle tentazioni peccaminose, fino a coinvolgere sentimentalmente l’amico fraterno di Tony, ovvero il bel Manny, con un esito degno di una tragedia greca.
Nelle quasi tre ore di epopea esasperata disposta strategicamente e cronologicamente in direzione altalenante, ove alla irresistibile crescita esaltante ed esaltata del boss Montana nell’olimpo dei trafficanti che contano, segue una disfatta repentina e implacabile tramite una esecuzione in massa in stile tutti contro uno, che è una vera e propria guerra impari alla quale tuttavia la vittima designata reagisce con la nota energia lontana da ogni schema e possibilità di sopravvivenza umana, Scarface scivola veloce appassionando lo spettatore, preso, anzi avvinto nei meandri adrenalinici e brutali – dunque assai affascinanti - di una vicenda vorticosa come solo De Palma sa valorizzare, dalla forte presa emotiva e corroborata da una tecnica di ripresa che esalta l’esasperazione e le situazioni incontrollate, conferendo ai personaggi coinvolti, e a Tony Montana in particolare, una effimera carica di immortalità che lo rende un personaggio sopra le righe improbabile, ma anche indimenticabile e definitivo: il personaggio che ogni attore ambirebbe a fa suo nell’arco di una carriera e di una vita.
Il celebre massacro finale in villa, con il nostro Montana crivellato da decine di colpi, ma tutt'altro che arrendevole ed anzi barricato nel suo studio e protagonista ed artefice - prima del colpo di grazia ricevuto da parte dell'implacabile killer - di un vero e proprio eccidio a colpi di mitra ai danni degli invasori, è un pezzo di storia del cinema ormai da anni.
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