Regia di Brian De Palma vedi scheda film
Affresco a tinte fosche di un tempo molto vicino, Scarface è il gangster movie dei tempi nostri, l’era dell’alta finanza in combutta con politica e poteri forti.
Dopo averti afferrato con spire da piovra assassina fin dai titoli di testa, dove leggi nomi come Oliver Stone a scrivere la storia, Giorgio Moroder a musicarla, Brian De Palma a dirigerla, Al Pacino a recitarla, non ne esci più fino all’ultimo minuto, quando la grande deflagrazione arriva, e se anche lo sapevi che prima o poi sarebbe successo (un gangster movie non sgarra mai) è lo stesso, te la godi tutta perché Tony Montana/ Al Pacino è uno di quei miti immortali che segnano la strada, e dopo trentacinque anni è ancora lì, con le sue battute fulminanti, a citarne una si farebbe torto ad un’altra, con la sua determinazione a prendere a morsi la vita, la spietata convinzione di essere il migliore di tutti e quel tallone d’Achille (lui non uccide i bambini) che segnerà la sua fine.
Remake del capolavoro di Hawks a cui è dedicato, difficile parlare di scarsa originalità, opera rimasticata e quant’altro.
Capolavoro o no, il dibattito dura da 35 anni e la cosa più sensata l’ha detta sei anni fa Roberto Saviano che di mafie & C. se ne intende:
“Il film era ambientato a Miami e il protagonista era cubano, ma per un ragazzo del Sud Italia, della periferia campana, in quel personaggio, quegli ambienti, quelle ville, quel modo di parlare e di gesticolare, in quello sguardo, c'era molto di familiare… Tony Montana è credibile perché ciò che il potere può, per essere raccontato, per entrare nel mito, non deve avere limiti. La violenza in Scarface non serve a stupire, è indispensabile: se la elimini, non stai più raccontando quella Miami, quelle ambizioni, quella ferocia… Se in una società malata Tony Montana può diventare un mito, o peggio, un esempio da seguire per qualche giovane, il crudo racconto della violenza e la qualità di quel racconto sono l'elemento fondamentale, imprescindibile, per poter fermare un passo simile. Capire è un modo per non subire… Raccontare significa resistere. È sempre stato così. Guardare in faccia la bestia è l'unico modo per sconfiggerla.”
(cit. da Repubblica, Così Scarface è diventato un mito per tutti i boss, 29 settembre 2011)
Dunque violenza di forma e di contenuto, splatter, linguaggio scurrile (hanno contato i fuck e superano i duecento), scontri a fuoco da cui Kitano deve aver imparato molto per i suoi yakuza, seghe elettriche in mancanza d’altro, tutto come da copione, le mafie sono questo, a tutte le latitudini, e bisogna guardare in faccia la bestia.
E poi c’è lui, Al Pacino, che come re Mida trasforma in oro tutto ciò che tocca.
I primi quaranta dei centosettanta minuti passano con le presentazioni.
Si comincia con Fidel, un breve stacco in bianco e nero nitido con il Lìder Maximo che arringa el pueblo.
Poi arriva il colore, un mare sporco di carrette con profughi, è l'Esodo di Mariel, 125.00 cubani espatriati da Castro per varie ragioni previo accordo con gli States.
Molti avanzi di galera fra loro, ma anche tanta brava gente che fece fatica a guadagnarsi rispetto nella nuova terra, la Florida. Storie di emigranti, tutte abbastanza simili.
Ed ecco Tony Montana, profugo cubano sotto interrogatorio, uno che capisci subito che ha intenzione di prendere il mondo nelle sue mani, con tutto quello che c’è dentro.
Strafottente, col suo sfregio ben in vista sulla guancia, tiene testa a sceriffo e agenti, racconta un po’ di frottole, deve ammettere di essere stato in galera, ma per cose di poco conto, dice che odia i comunisti e si dichiara prigioniero politico.
Alla fine nessuno gli crede e lo sbattono dentro senza tanti complimenti, ma il modo di uscire arriverà ben presto, basta uccidere la persona giusta e la carta verde di cittadinanza è pronta (e sulle collusioni Stato – mafia sarebbe già abbastanza, ma poi si vedrà anche altro).
La strada della malavita per Antonio Montana detto Tony comincia da qui, e sarà tutta in discesa.
La grande occasione si chiama cocaina, se ne sniffa parecchia nel film, fino all’apoteosi finale, con quella gran montagna di neve bianca sulla scrivania di Tony, un mobile massiccio, tronfio, istoriato, cuore di una villa che è la summa di tutto quanto è possibile costruire con dollari e cafoneria, modello insuperato anche per i boss di Cosa nostra (v. villa di Walter Schiavone a Casal di Principe detta Hollywood).
La Colombia è vicina e i traffici prosperano, il narcotraffico negli anni 80 è il business più invitante e la sequenza della conta dei dollari portati poi a sacchi sulle spalle in banca (previo accordo con funzionari molto solleciti) è un capolavoro di ironica leggerezza.
Leggerezza che De Palma dosa con cura, anche nei passaggi più splatter il racconto è crudo ma sempre elegante e la mano ferma nel governare l’eccesso che è la scelta stilistica del film, a partire dal protagonista, rozzo ma scaltro esemplare di una corsa al potere favorita da un capitalismo in cui l’illegalità è una partita sempre aperta.
Selfmade man che sale dal ghetto in cui è confinato il suo popolo alle vette aperte dal malaffare, Tony vivrà una parabola lungo la quale prenderà tutto quello che potrà, prima di precipitare in un turbine di fuoco nella piscina del grande atrio della villa, un finale capolavoro dove il fuoco degli spari si fonde al rosso pompeiano delle pareti e al sangue che si allarga a macchia d’olio nell’acqua.
Istruiti dalla saggezza antica secondo cui quem deus vult perdere dementat prius, assistiamo consapevoli alla progressiva decadenza cerebrale di Tony, distrutto dalla droga e dalla sete di potere, ormai incapace di dominare le sue pulsioni.
Il vuoto intorno sarà il prezzo da pagare, donne amate, amici e nemici, non resta che il salto nel vuoto.
Neppure la donna riesce a fare di questo mondo qualcosa che vale.
E’ l’animale di lusso“che passa metà della vita a vestirsi e l’altra metà a spogliarsi”, la mantenuta che non ha diritto di parola né di pensiero. E’ Elvira, la donna del boss (un moscio che sa solo bere e sniffare, l’ha subito catalogato Tony), una Michelle Pfeiffer che entra in scena folgorante, abito verde smeraldo cucito sulla pelle, capello platino e aria annoiata e distante.
Donna oggetto di desiderio su cui si posa da subito lo sguardo di Tony, non ha bisogno di ulteriori caratterizzazioni, vive sullo sfondo grazie agli uomini che le insegnano come stare al mondo alle loro regole.
Sorella e madre entrano nell’obiettivo solo per riproporre modelli usurati di convivenza fra i sessi, la madre custode di valori fuori tempo e la sorella che non ha scelta, rimanere con lei nella povera casetta di periferia o passare con scollature vertiginose per letti e privè dove fare l’unica carriera possibile.
Affresco a tinte fosche di un tempo molto vicino, Scarface è il gangster movie dei tempi nostri, l’era dell’alta finanza in combutta con politica e poteri forti.
Tony Montana è solo una pedina, rozzo, amorale, a suo modo anche tenero nella sua totale mancanza di comprensione del mondo in cui vive e che crede di dominare.
Uno scugnizzo all’arrembaggio, nulla più.
www.paoladigiuseppe.it
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