Regia di Pierre Morel vedi scheda film
Sean penn spara a salve.
Produttore e cosceneggiatore, a dimostrare l'impegno profuso per The Gunman. E difatti, l'opera diretta da Pierre Morel (un curriculum fatto di Banlieue 13, Taken e From Paris With Love, che parla chiaro, e non sono parole entusiastiche, tutt'altro) - tratta dal romanzo La Position du Tireur Couché di Jean-Patrick Manchette - non perde occasione per sbatterci in maniera sottilmente ricattatoria (nonché autoassolutoria) il suo vago carico sociopolitico. Che finisce - essendo già simpaticamente generico e male assemblato di suo (il Congo, le dannate multinazionali, i mercenari e i killer, le ONG, l'Interpol) - col cozzare con l'entità fagocitante (tra)vestita per l'occasione degli strumenti e dei sensi di colpa del tiratore scelto (per l'ennesimo assassinio politico): Sean Penn.
Primattore, al centro della scena praticamente sempre e (uomo)ovunque, espressioni rugose d'ordinanza e occhi-volto di chi porta un fardello troppo pesante, si muove smarcato e libero di colpire nel (debole, sommario) piano ordito dal mesto mestierante regista. Ingenui e palesi i congegni della performance: da un lato i gesti, le azioni, il corpo da vero duro (impossibile non menzionare le due-tre inutili scenette che lo vedono a torso nudo), dall'altro lo struggersi per l'obiettivo romantico incarnato da Jasmine Trinca ma anche e soprattutto i continui tormenti fisici che lo assalgono con sempre maggior frequenza.
Sintomi: memoria che vacilla (da cui il ricorso ai cari fedeli taccuini), lancinanti dolori encefalici, perdita di coscienza; causa: un chiaro contrappasso per le malefatte del passato (ovviamente ritornante). D'altronde l'operazione che portò il nostro a compiere il misfatto scatenante (l'omicidio del Ministro delle miniere) si chiamava, non a caso, "Calvario". La morale è dunque presto fatta; e pure risolta, una volta terminati avversari, evitati danni collaterali, contribuito a smascherare le lobby del male, ed espiate pene (?!): un calvarietto, più che altro (vista l'ultima inquadratura da incomprensibile happy end: ma non doveva pagare per i suoi crimini?).
Insomma, un pesante atteggiarsi, quello del buon Sean (indubbiamente, altrove, inteprete di razza), per darsi e - dare al film - un "tono" (serio, adulto, impegnato); peccato che sia tutto così fuori sincrono ... E da qualsiasi lato la si voglia vedere: quello sentimentale è irrilevante (di mezzo ci finisce l'incolpevole Jasmine Trinca), quello action è anonimo malgrado i picchi di violenza sul finale, quello narrativo scade in un raccont(in)o fumoso e caotico, che si fa fatica a vedere. Colpa anche di un senso del ritmo che non c'è: la visione non è esattamente godibile, a dirla tutta. Annullati dalla vorace centrifuga "penniana" e dall'insipienza registica gli altri nomi coinvolti, da uno Javier Bardem sprecato (e troppo presto liquidato: suo l'unico momento interessante, il pezzo di bravura in occasione della sua uscita di scena) a un Idris Elba relegato a comparsa nelle battute finali, e al sempre incisivo Ray Winstone.
Sarà per le troppe ambizioni, per la mano infelice, per i pettorali scolpiti di Sean Penn, per quell'indefinibile sentimento che si prova di fronte a certe coproduzioni (e cambi di location random), o per qualunque altra cosa su cui si rifletta un minimo: sta di fatto che The Gunman è lavoro sconclusionato e trascurabile.
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