Regia di Sue Brooks vedi scheda film
Grace scappa via di casa per vedere un concerto hardcore facendo preoccupare i genitori che vanno a cercarla. Sarebbe volendo tutta qui la trama di Looking for Grace, diretto da Sue Brooks, già al suo sesto film, presentato in concorso alla 72a mostra veneziana del Cinema. Si tratta di un film piccolo, delicato, senza eccessive pretese, caratterizzato da un impianto formale notevole ma semplice, ironico, quasi cinico, se non fosse per il costante, onesto, accompagnamento musicale. La Brooks sfrutta la storia come pretesto, e la snellisce di tutti i toni potenzialmente pericolosi (carinerie, piagnistei, e simili) grazia ad una struttura ad incastro che costringe tutte le vicende ad una serie di sbalzi temporali, mai disorientanti ma certo asimmetrici per montaggio, distribuzione, lunghezza di ogni episodio. Ogni frammento prende il nome del personaggio raccontato - il primo è per esempio Grace's Story - e ha una durata variabile basata neanche poi tanto sull'importanza del personaggio, quanto più sulla necessità dei tempi comici/drammatici necessari.
Difficile attribuire un genere preciso al film. Momenti esilaranti si alternano al grottesco, quasi al tragico, con una freschezza e una scioltezza che si rischiano di dare troppo per scontate. E questa naturalezza, che sembra alla fine prendersi gioco dei suoi personaggi, è conferita propria da questa - volutamente superflua - struttura temporale di flashback e flashforward continui, ellissi misteriose da riempire, piccoli indizi che forse lasciano intendere quello che da lì a poco si constaterà. Si direbbe un'idea di sceneggiatura in più, posticcia, ma invece è semplicemente uno stile, un modo di vedere le cose, assolutamente coerente con il mondo inquadrato dalla Brooks.
Il microcosmo di Looking for Grace è infatti costituito da uomini e donne insoddisfatti, annoiati, appesantiti da svariati sensi di colpa. Le immagini ferme di Sue Brooks accentuano la loro solitudine, fatta da vuoti costanti sia nelle abitazioni, negli alberghi, negli interni in genere, che negli esterni, per la strada, in macchina; vuoti che però non rendono il film in sé triste, ma che concedono l'apertura ad un umorismo spesso al limite di un godibile nonsense. I dialoghi lasciano intendere proprio questo: oltre che un incipiente incomunicabilità, ad affliggere i protagonisti è la graduale perdita di senso della realtà. Tutti gli eventi sono infatti sempre visti come inevitabili, accadono perché accadono, e non ci si può far nulla. Incidenti, sviste, coincidenze, non appesantiscono un film potenzialmente incentrato sul destino, ma sono semplicemente espressione di una coerenza ben precisa, fra eventi, dialoghi, incontri, rapporti. Tutti semplici, ma nonsense. Quasi forzati - come il pulitore di divani che dice sinceramente tutto ciò che pensa, o l'amica della madre di Grace, totalmente incapace di rassicurarla.
Alla fine è proprio così che funziona la realtà, nel mondo di Looking for Grace. Una successione di eventi quotidiani assurdi. Ma che accadono e basta.
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