Regia di Lone Scherfig vedi scheda film
Chiusa la sfortunata parentesi di “One Day”, suo film del 2011, la Sherfig riparte da Oxford, dove ci aveva felicemente lasciati con l’epilogo del delizioso “An Education” (il film che nel 2009 fece conoscere al mondo la mia beniamina Carey Mulligan). Evidentemente legata in qualche modo alla nota cittadina universitaria inglese (anche se dalla sua biografia non emerge nulla del genere), la regista danese conferma qui la sua notevole attitudine all’uso dell’estetica (la breve, intensissima scena della foto di gruppo dei “riottosi” all’ingresso del pub è una vera delizia per gli occhi) , ma conferma di nuovo anche la sua non eccellente inclinazione al senso del “raccontare” (quanto tempo dura la cena dentro quel pub??? Quante sequenze inutilmente ripetute, telefonate, in fotocopia...), come se si smarrisse dietro la sua macchina da presa per inseguire chissà cosa e perdesse il filo logico di ciò che sta realizzando.
Il Club dei Riottosi è un manipolo di ragazzotti insopportabili e intercambiabili, inserito in una storia che passa dal leggermente frivolo/insipido all’odiosamente tragico, trasformandosi da Circolo di Figli di Papà col pepe al culo, intenti a spremere dalla vita fino all’ultima goccia di godimento prima che una qualche “City” della finanza li fagociti nel suo grigiore, in una sorta di banda Arancio- Meccanizzata francamente poco credibile quanto veramente rivoltante. E a poco serve la ciambella di salvataggio tirata dalla coppia “Lui-il-buono-della gang/Lei la ragazza acquo-saponata”, un colpo di fulmine estemporaneo e mal inserito in una storia che la stessa Sherfig ha dichiarato di voler tenere lontano dai film d’amore che aveva precedentemente diretto, e che dà un contributo di femminilità minimale e futile ad un film tutto declinato al maschile.
Probabilmente complice la mancanza di un vero leader tra il cast che avesse potuto svolgere una buona funzione catalizzatrice e di spinta, il film non decolla mai, anzi a tratti dà l’impressione di non essere mai partito, salvo risvegliare lo spettatore (e purtroppo) solo in un finale ancor più violento di quel che sembra, e per questo ancor più disturbante più per la sua gratuità che non per il senso degenerativo che probabilmente voleva essere reso.
La Sherfig ha sicuramente un buon talento. Le mancano solo delle valide scritture e dei buoni attori con gli attributi, e il nuovo “An Education” potrà sempre essere dietro l’angolo... Speriamo.
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