Regia di Lone Scherfig vedi scheda film
Film di "critica sociale" poco incisivo e non del tutto convincente
Un gruppo di studenti viene ammesso all'università di Oxford, dove la confraternita dei Riot, fondata nel lontano 1776, è il club più prestigioso ed esclusivo. Accoglie solo dieci membri, Ragazzi ricchi, arroganti, cinici e viziati, rampolli di alto lignaggio e eredi di famiglie facoltose destinati a diventare l’élite della futura classe dirigente. I due nuovi arrivati, sono Miles e Alistair, Miles è più accondiscendente e tollerante, di mentalità aperta si fidanza con Lauren, anche se è una studentessa priva del suo “pedigree” aristocratico. Alistair invece vive su di un piedistallo, nell’ombra del fratello maggiore Sebastian, mitico ex presidente del Riot Club, e si trastulla in lunghe contumelie contro la borghesia, che a suo dire, li biasima solo per invidia. Dopo “disgustose” prove, atte a valutare l’idoneità dei candidati, si giunge alla fatidica cena dove ognuno, senza alcun freno, fa quello che gli pare, abbandonandosi ai suoi istinti più bassi, ne fanno le spese i commensali presenti in sala e soprattutto, il povero proprietario del locale e la di lui figlia. La situazione degenera e sfugge di mano ai suoi partecipanti, che vanno totalmente fuori controllo. La cena termina nella devastazione e nel sangue. Naturalmente dopo qualche incertezza iniziale, che dimostra anche la loro codardia, comunque la passeranno liscia, perché tutti “figli di”. Molti film ci hanno illustrato, a volte con voyeuristica dovizia di dettagli, le associazioni di studenti, microcosmi autoreferenziali, tipicamente composti da giovani altolocati e facoltosi, che coltivano la velleità di appartenere ad una cerchia ristretta di privilegiati, imitando modelli aristocratici, ormai anacronistici e obsoleti, persuasi del diritto ad avere una sorta di naturale impunità ed esaltati da un senso di onnipotenza, che li pervade. Costoro si intrattengono in atti sconsiderati, devastazioni, aggressioni, follie alcoliche e quant’altro la loro morbosa fantasia suggerisce, con la consapevolezza che sono gli ultimi eccessi, una volta terminati gli studi, dovranno rientrare nei ranghi, per ricoprire ruoli professionali e sociali di prestigio, che non consentono più di andare fuori dal seminato. Il fenomeno delle “society”, delle congreghe, delle associazioni, dei club,che è fortemente consolidato negli usi e nei costumi, della cultura accademica britannica, non sempre ha una connotazione negativa e deprecabile,ci sono alcuni club,sani, aperti, votati all'interesse per una certa disciplina o verso un'attività sportiva, o accomunati da passioni verso qualche hobby. Altri invece, sono vere e proprie sette segrete, politicamente scorrette, che praticano una vita universitaria dissoluta, all’insegna di pulsioni, eccessi e omertà, talvolta criminali. Il Riot Club del film,rappresenta uno di questi ultimi,i suoi membri sono temuti per le loro stravaganze e la violenta noncuranza verso il prossimo, usato solo per il proprio personale trastullo. Il film è la trasposizione dell'omonimo testo teatrale della britannica Laura Wade, ispirato all’esistente “ Bullingdon Club di Oxford”. Associazione che effettivamente, vive di cene rituali e rigidi codici e di bizzarre cerimonie di iniziazione. La “critica sociale” che il film prova a sollevare, è soprattutto verso l’atteggiamento di forte classismo che permea la società britannica. Il messaggio che veicola il film è piuttosto semplice e drastico : la comunità inglese sarebbe nettamente divisa, da una parte l’alta borghesia o l’aristocrazia residua e dall’altra, la working class: i ceti altolocati ,per definizione spregevoli e immorali, il popolo viceversa, indifeso e buono. Questa dicotomia schematica, è il limite più appariscente del prodotto, che per quanto animato da lodevoli intenzioni, si ferma troppo in superfice, senza scavare, sviluppare e approfondire. Gli attori se la cavano abbastanza bene.
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