Regia di Andrea Segre vedi scheda film
L’umanità a pezzi. Sradicata, costretta a dissolversi nel dramma dell’immigrazione, mescolandosi a realtà nelle quali è difficile specchiarsi. Forse solo il dolore è quello che, a lungo andare, riesce a scavare, nel duro strato dell’incomprensione, un sotterraneo canale di comunicazione. Andrea Segre – già autore di Io sono Li e Mare chiuso - sa bene quanto sia ruvido il volto della vita alienata: quella che si è costretti a trasportare altrove, lontano dalla propria patria, dove non si potrà condividerla con la gente del posto. Un giorno decidi di andar via, partendo su un barcone, e a quelli che ti accoglieranno, sulle spiagge straniere, sembrerà che tu abbia addosso soltanto un po’ di stracci. Dani, fuggito dal Togo attraverso la Libia, arriva in Italia a bordo di una delle tante carrette del mare. Nel centro di accoglienza lo smisteranno verso un piccolo paese dell’Alto Adige, insieme alla figlioletta Fatou, avuta dalla moglie Layla, morta nel momento di darla alla luce. Un giovane africano si ritrova in un ambiente ospitale ma estraneo, di cui non conosce la lingua, e nel quale ritrova soltanto una sua vecchia passione: l’arte di scolpire il legno. Tutto il resto gli deve essere detto, spiegato, raccontato. A furia di sentirlo parlare, Dani riuscirà ad imparare l’italiano. E comincerà a rendersi conto che l’infelicità è un male universale, non solo causato dal distacco, ma anche radicato in seno alle famiglie, fisicamente unite, ma separate da divergenti visioni del mondo. Il piccolo Michele ha perso il padre in circostanze tragiche, e sua madre sembra non del tutto consapevole della sua sofferenza. A sua insaputa, ha iniziato a frequentare un altro uomo. Il nonno Pietro rievoca storie risalenti ad un tempo remoto in cui lui non era ancora nato, c’era la guerra e la morte abitava ovunque. Quel lutto particolare e intimo sembra non trovare spazio in un luogo nel quale si sta insieme per tradizione, ma i legami sono tutt’altro che saldi e profondi. L’unico abbraccio veramente confortante e caloroso è il respiro della natura, che riempie i boschi e risuona tra le montagne. È l’anima di una poesia che magari risulta distante, e troppo grande per poter entrare nel cuore, però reca in sé la testimonianza di una presenza che conserva la memoria di ogni cosa, nascondendola, se necessario, per sottrarla all’invadenza di sguardi indiscreti. Lì dentro si può scoprire il patrimonio di ricordi che autenticamente accomuna anche le persone più diverse. Se ne avverte il suono sommesso, nei silenzi che spesso sembrano suggellare l’impossibilità di capirsi. È l’eco letteraria di una verità che si rivolge a tutti noi, in ogni momento, ma che, per emergere, ha bisogno di essere corroborata dall’incanto della narrazione. Ne La prima neve finzione e documentario si aggregano intorno al linguaggio aspro delle situazioni incerte, inattese e confuse: il brusio della mescolanza diventa un sussurro grezzo, che può maturare affrontando, coraggiosamente, la doverosa sfida della sincerità.
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