Regia di Daniel Espinosa vedi scheda film
Una ricostruzione d'ambiente che non ostante l'accuratezza scenografica e l'angosciante cupezza della tavolozza cromatica, ricapitola i luoghi comuni del clima repressivo del regime bolscevico, quale banale cornice narrativa per una detection story fondata sulla neutralizzazione dell'ambiguità dei caratteri e l'esaltazione dell'azione drammatica.
Confinato insieme alla consorte in un remoto avamposto degli Urali, il funzionario della polizia segreta sovietica ed ex eroe di guerra Leo Demidov, accetterà di collaborare con il generale comandante della locale milizia nell'indagine su di un pericoloso maniaco pedofilo responsabile dell'assassinio di numerosi bambini. La sua attività e la sua posizione però, sono fortemente osteggiate dall'inetto e ambizioso Vasili, deciso a distruggere definitavamente la reputazione politica dell'ex collega e ad ereditarne il ruolo ai vertici dell'organizzazione repressiva.
Adattando l'omonimo romanzo del britannico Tom Rob Smith ed ispirandosi liberamente alle vicende del serial killer ?ikatilo, Daniel Espinosa (Safe House - 2012) imbastisce la solita epica drammaturgica e romanzesca del blockbuster all'americana in una ricostruzione oleografica dell'imperio stalinista per un banale thriller poliziesco che alterna celebrazioni storiche ed esemplari vicende umane, polizia politica e killer seriali, antagonismi professionali e oscurantismo etico; insomma il solito calderone di passioni e soprusi dove è esplicita la contrapposizione tra caratteri antitetici separati dalla netta demarcazione tra le forze del bene e quelle del male. Se il filo conduttore è dichiaratamente quello del peccato originale di una nazione che ha costruito la sua gloria e le sue fortune sul sacrificio di un'infanzia rubata (il protagonista è un orfano dell'Holodomor, il pedofilo è un bambino abusato, l'antagonista un creatore di orfani) e la sua protervia ideologica sulla negazione di questo peccato (il crimine comune, compresi i delitti pedofili, come prerogativa delle degenerazioni borghesi), il riscatto dell'uomo nuovo, eroe di guerra cooptato da un regime fondato sul sospetto e la repressione, non può che essere la parabola edificante di un reietto che dalle stelle (mostrine azzurre dei funzionari dell'MGB) precipita nelle stalle di un esilio uralico e da qui ascende alfine alla gloria di un nuovo corso della storia patria e di un personale riscatto etico. Insomma una ricostruzione d'ambiente che non ostante l'accuratezza scenografica e l'angosciante cupezza della tavolozza cromatica, ricapitola con enfasi retorica i luoghi comuni del clima da caccia alle streghe del regime bolscevico (le retate dei '58' come la delazione familiare, le lotte intestine agli apparati dello Stato come l'immorale tolleranza dei reati comuni, fino all'uso dei 'socialmente vicini' come manovalanza non ufficiale al servizio della polizia politica) quale banale cornice narrativa per una detection story fondata sulla neutralizzazione dell'ambiguità dei caratteri e l'esaltazione dell'azione drammatica. Eroismo e buoni sentimenti che scontano un impianto narrativo non privo di incongruenze (la fedeltà coniugale e politica della moglie), caratteri secondari malamente abbozzati e l'esasperante lentezza di un ritmo penalizzato dalle discutibili scelte del montaggio di impianto chiaramente televisivo. Gli attori, per carità, si danno tutti un gran daffare: dal testosteronico dinamismo di un bovino Tom Hardy alla protervia ferina di una combattiva Noomi Rapace, fino all'eleganza aristocratica di un irreprensibile Gary Oldman; ma questo non basta a riscattare un prodotto di intrattenimento domestico che si conclude con l'inevitabile disfatta dei cattivi e l'edificante esaltazione della moralità dei buoni; promozioni professionali brezneviane e adozioni filiali incluse. Il Ministero della Cultura russo però non sembra aver colto, bandendo il film per un ritratto immorale del popolo russo e la palese falsità della ricostruzione storica: per la cronaca, il vero Mostro di Rostov è stato giustiziato nella prigione della omonima cittadina sul Don nel 1994, con i classici 10 grammi di piombo dietro la nuca con cui lo stalinismo usava togliere di mezzo gli indesiderati reietti del suo Paradiso Comunista.
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