Regia di Daniel Espinosa vedi scheda film
Negli oscuri cieli di una Russia stalinista dove anche l'omicidio è considerato fuori luogo (in Paradiso non esistono omicidi: essi sono una evidente manifestazione di una deriva occidentale che fa isolata come una emorragia), dove la legge del sospetto è sufficiente a far giustiziare, o almeno a confinare, tutti coloro che sono solo ipoteticamente ritenuti simpatizzanti di idee riformiste contrarie al “paradiso”, un'agente della polizia segreta di regime, orfano di entrambi i genitori, viene costretto ad allontanarsi da Mosca per raggiungere uno sperduto centro ai confini del paese, in seguito al suo rifiuto di denunciare la moglie insegnante, sospettata di far parte di una cellula simpatizzante per la ventata di ideali progressisti che giungono da Ovest.
Una coppia in crisi da tempo, anche se l'uomo ne ignorava le circostanze, ed indotto a non tradire la moglie grazie ad uno stratagemma messo in piedi quasi istintivamente dalla consorte per salvarsi la vita da un'accusa ritenuta senza via di scampo.
Al confino l'agente si imbatte in una serie di tremendi omicidi – camuffati da incidenti per i motivi già detti – ai danni di bambini tra i 9 e i 15 anni, trovati nudi, seviziati e martoriati in circostanze davvero terrificanti. La stessa situazione che aveva già seguito e vissuto a Mosca, in occasione del ritrovamento del corpo senza e vita e orrendamente abusato del figlio di un collega ed amico di famiglia.
Grazie alla caparbietà dell'agente, che avrebbe in realtà molti problemi personali forse più impellenti da chiarirsi, la verità verrà prima o poi a galla, facendo emergere tutta la sadica scia di sangue portata avanti negli anni dal cosiddetto “mostro di Rostov”.
Il regista svedese di origine cilena Daniel Espinosa, noto per il recente thriller “Safe House – Nessuno è al sicuro”, firma una trasposizione da un best seller di Tom Rob Smith che si pregia di una accurata ambientazione, di una scenografia curatissima, e di un preambolo storico ricostruito con efficiente cura nei dettagli.
Il nucleo principale della vicenda tuttavia tende presto a imbrogliarsi in una matassa di storie e sotto-storie infarcite di dialoghi approssimativi, banali e melodrammatici che ne appesantiscono notevolmente la struttura, distorcendo la vicenda e sottraendola al pathos da thriller che si annunciava come il percorso principale e logico per una caccia al folle psicopatico peraltro realmente esistito.
Ne soffre dunque la rappresentazione, sacrificata e tardiva, quasi trascurata, della figura del maniaco, reso pur con accurata aderenza dal bravo attore britannico Paddy Considine.
Tom Hardy risulta un po' troppo catatonico e decisamente meno convincente di quanto ci ha abituato fino ad oggi l'ottimo versatile attore trasformista; Gary Oldman recita la sua parte con professionale routine, ma senza i guizzi che ci si potrebbe aspettare da un attorre del suo calibro, e se Joel Kinnaman è piuttosto bravo ad incarnare un personaggio odioso e rivoltante dell'amico-nemico invidioso e assassino, e bravissimo risulta il colosso Jason Clarke, purtroppo confinato in un ruolo perfetto per le sue corde, ma che si riduce a troppo pochi minuti per poter risultare un punto a favore del film, l'attrice Noomi Rapace, tutta boccucce a “o” e guance tirate, è davvero fuori parte se non imbarazzante a rendere il personaggio sulla carta più interessante e sfaccettato di tutta l'opera: la moglie che non riesce ad amare e si tuffa a capofitto verso idee progressiste che la condannano all'oblio e al confino.
44 Child è un film che faceva ben sperare, ma che al contrario naufraga inesorabilmente tra i flutti di una sceneggiatura pedante e ingombrante come un macigno destinato ad inabissarsi.
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