Regia di Tim Burton vedi scheda film
Big Eyes, più che un film autobiografico (e nonostante segua quasi pedissecuamente la vera vita dei coniugi Keane), è una feroce satira sul mito americano degli anni '60, sull'egoismo e l'avidità capitalistiche che comandano le dinamiche dell'arte moderna e sulla condizione della donna in quegli anni, solo apparentemente perfetti, in cui la violenza si nascondeva dietro a un velo di apparente spensieratezza e di ingenuità, l'ingenuità di chi, allora come adesso, crede che ciò che gli viene imposto debba essere giusto e sacrosanto, anche se all'apparenza potrebbe non sembrare. L'ingenuità di una donna, Margaret Keane, che ha vissuto parte della sua vita sotto il giogo di un marito orco, che fagocitava il suo talento in nome del dio denaro, asserendo che "l'arte fatta dalle donne non vende". In effetti ciò era vero, in quanto la donna era considerata un essere incapace di rendersi indipendente (di fatto le veniva impedito) e dipendeva in tutto e per tutto dall'uomo. Il film segue la lotta fatta da Margaret per liberarsi dall'ombra dell'eterno regolatore, il falso e grottesco Walter, la sua vittoria e la sua emancipazione, sopra a uno sfondo tipicamente Burtoniano: casette a schiera in perfetto ordine, paesaggi che sembrano dipinti espressionisti e una società americana che vive superficialmente e concentrata solo sul benessere economico. Il film quindi dovrebbe a rigor di logica decollare sotto la spinta del visionario Tim, ma è frenato nella sua ascesa da una confezione troppo laccata: la sceneggiatura si limita a rimanere a galla, senza mai andare in profondità per rendersi più incisiva, le interpretazioni degli attori protagonisti (Amy Adams e Christoph Waltz) sono da regolamento (una telefonata all'Academy?), con Waltz che, per quanto costretto ad adottare uno stile di recitazione sopra le righe per interpretare un personaggio molto grottesco, risulta spesso eccessivo nella sua caratterizzazione, finendo per sembrare ridicolo. Menzione a parte merita il grande Terence Stamp, che in 5 minuti si mangia letteralmente il resto del cast. Dunque Big Eyes è destinato a rimanere (come già affermato da qualcun altro) un lavoro minore nella filmografia di Tim Burton, ma non gli si possono muovere altre critiche, anzi, ha il merito di aver riportato alla luce una storia che qui in Europa in pochi conoscono, senza contare il fatto che si pone decisamente nella nutrita schiera di film sull'emancipazione femminile, un tema che , insieme alla falsità dei mitici anni '60, ci ricorda come la storia umana sia ricca di contraddizioni e brutture, velate da un'apparenza di favola.
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