Regia di Tim Burton vedi scheda film
Eccezion fatta per la prima immagine della catena di montaggio copiata ma con musica meno bella da La fabbrica di cioccolato e per il quartiere da cui una confusa Amy Adams scappa con la figlia, con quei vialetti perfettini e quelle case dal colore eccessivo presi direttamente da Edward Scissorhands, Tim Burton lascia (spera) che Big Eyes dia luce a una nuova filmica presa di posizione che non assomigli a null'altro. La storia di una pittrice che dipinge bambini dagli occhi enormi (tutti quanti, uno per uno, freaks burtoniani che sanno di già visto), e che viene "svenduta" dal marito bugiardo (Christoph Waltz rovinato dal doppiaggio italiano), poteva dare adito a un'interessante riflessione meta-artistica che vantasse tra le sue armi proprio il rapporto verità (finta) dell'arte e finzione (vera) del commercio (di arte), e se non questo, ciò che potevano aspettarsi i fan del regista sarebbe potuta essere una riproposizione di stilemi ormai quasi in disuso che affidassero questa nuova pellicola ad uno smagliante manierismo - che quantomeno non avrebbe lasciato freddi -, ma la verità (vera) cui si fa fronte al riaccendersi delle luci è che Big Eyes non sembra un film di Tim Burton, né in generale di un regista che abbia mai creato (come il regista in questione) veri capolavori.
Big Eyes è, insieme a Big Fish, il tentativo da parte di Burton di uscire dai propri personalissimi stereotipi, ma forse la maniera è meglio della mostruosa piattezza figurativa del primo titolo: Big Fish, che può certo adorarsi o meno, rendeva comunque giustizia al buon nome del talentuoso regista, mentre Big Eyes sembra quasi un falso d'autore, una scialba ripetizione, una vuota prova registica di fluidità narrativa (scandalosamente irraggiunta). Le tematiche interne al film, sfacciate e impertinenti per quanto sono esplicite e messe in primo piano, non si traducono nei noti toni favolistici del regista americano, ma in idee molto piccole da presentare in più di un'ora e mezza di film senza che venga inserito alcun tipo di sviluppo, né di creatività in genere. Big Eyes è noioso, esile, senza verve né mordente, mollacchio ed esso stesso indeciso, titubante. Al fronte della banalità non sa bene che strada prendere, e rimane ancorato al percorso tracciato dalla storia (vera) di Margareth Keane, ingenua (e, per la sua ingenuità, odiosissima) artista piena di talento ma, diciamolo, ripetitiva fino allo stremo. E rimanere ancorati alla storia vuol dire lasciare che qualunque risvolto risulti prevedibile (anche senza essere a conoscenza dei vecchi fatti di cronaca), facendo arrivare lo spettatore a certe conclusioni almeno mezz'ora prima di quando esse vengono finalmente messe in scena. Sorvolando sull'assoluto cattivo utilizzo dei tempi (passa poco tempo e passano anni allo stesso modo con uguali ellissi e uguali divagazioni, il che è un fattore improduttivo considerando la ricercatezza narrativa), e sull'irragionevolezza di certi passaggi (ancora una volta, l'ingenuità del personaggio di Margareth, che sembra anche l'ingenuità di una sceneggiatura che forse considera lo spettatore altrettanto ingenuo), Big Eyes è un film stanco e amorfo, privo di stile, orgogliosamente classico ma evidentemente pedante: non bastano l'ambientazione e la ricostruzione storica a fare uno stile.
Oltretutto è un film che non funziona neanche sul fronte dell'ironia (Christoph Waltz gigioneggia ma ormai infastidisce), e che desta pochissimo interesse nel momento in cui non dice nulla dell'arte di Margareth (dando forse l'arte come un concetto scontato) e resta egli stesso sul fronte della storiella così come - dice il film stesso - la raccontavano i rotocalchi: scegliere di far narrare gli eventi a un giornalista non è stata una decisione saggia, e rende l'intera pellicola superficiale come tutti coloro che si fanno tentare dalla moda piuttosto che dal valore intrinseco di un'eventuale opera d'arte. In parole povere, Burton sta continuando a 'vendersi', non tanto diversamente da come fa Christoph Waltz. Ecco perché poi il film sfocia nel manicheismo e nel giustizialismo facilone: sta tutto sulla superficie e nella confezione, non ci si affeziona né ci si fa prendere dai personaggi e dagli eventi. Il fatto che si faccia più volte riferimento a Warhol, e si faccia passare Amy Adams in un supermercato pieno delle scatole di fagioli dei dipinti warholiani non rende Big Eyes un film 'cosciente' dal punto di vista artistico.
E dunque, mentre si ascoltano sentenze semplicistiche sul valore dell'arte (che però non viene mostrato né realmente evocato, come da buon [barboso] copione di biopic), viene da pensare che, così come si scoprirà che le opere di Walter Keane non erano di Walter Keane, così magari le vecchie opere di Burton non erano realmente sue, e che forse è il vero (piatto) lui quello che ora vediamo, senza più i fasti di un passato ormai più remoto che prossimo.
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