Regia di Renato De Maria vedi scheda film
“Mia madre era una hippie. Quando rideva sembrava che il mondo facesse ridere davvero. Era un personaggio nel paese in cui abitavamo. La chiamavano l’indiana. C’eravamo solo noi. E quel noi era quanto di più bello avevo conosciuto.”
Il giovane Andrea ha un rapporto simbiotico e di idealizzazione della madre, che vede però spegnarsi a causa di una grave malattia. Nel frattempo anche il padre, persino prima di lei, scompare improvvisamente per un ictus. Rimasto solo, Andrea, abile scrittore di poesie, si lascia andare ad un percorso auto-distruttivo, tra droga, alcol e sesso. Un incidente domestico, provocato dal suo stato di inerzia e non rispondenza, che gli fa perdere la casa e gli provoca gravi ustioni però potrebbe paradossalmente dargli una possibilità di riscatto: il professore di italiano, consapevole del suo talento, gli fa ottenere un posto in una scuola di Milano. Ma la strada per la salvezza è ancora lunga…
“Amore”, ”Distruzione”, “Ossessione”, “Allucinazione”, ”Paranoia”, “Follia”, “Perversione”, ”Dolore”, “Piacere”, queste le parole che leggiamo nel trailer del film quasi a volerci preavvertire che la storia che ci accingiamo a vedere (tratta da un romanzo di Aldo Nove) è un insieme di elementi forti che ci conducono (dovrebbero condurci?) nel percorso doloroso e senza freni verso l’autodistruzione del giovane protagonista.
Il film ha uno stile, un linguaggio e uno sguardo non convenzionali (e questo va riconosciuto al talentuoso regista, come non ricordare il suo sorprendente Paz!), le soluzioni visive, le immagini stranianti, l’uso delle musiche e dei suoni, i pochi dialoghi e la voce corposa di Fausto Paradivino ad esprimere i pensieri, spesso contorti e deliranti, poiché in preda ad allucinazioni e deliri, del giovane protagonista...
Giovane protagonista che, e anche questo è giusto sottolinearlo, poiché è l’altro elemento positivo del film, è ben reso dall’efficace Clément Métayer, giovane attore francese che, come ammette lo stesso regista nelle varie interviste, si rivela una risorsa preziosa del film, grazie ad uno sguardo perfetto nell'esprimere tutta la sofferenza del protagonista senza bisogno di parole.
Quello che non funziona, però, a mio parere, e mi costringe a classificare questo film (da cui avevo grandi aspettative) come una mezza delusione, è che si blocca sempre e ripetutamente nelle scene che dovrebbero essere più “spinte”: non mi pare il massimo che per quaranta minuti il protagonista passi da una prostituta all’altra e ci tocca subirci lunghe scene di sesso (anche estremo) in cui però non si vede assolutamente niente, a parte il busto dei vari interpreti. Insomma, mi verrebbe da dire: o le salti e passi oltre, oppure fai vedere qualcosa di più. Sennò rischi l’effetto straniante delle scene tagliate con l’accetta, peraltro ripetute. Esigenze produttive o scelta registica? Più probabile la prima…
Dalla bella recensione di spopola scopro che il film è stato barbaramente fischiato a Venezia e questo mi dispiace, anche perché sono evidenti le buone intenzioni del regista di proporre un'opera anomala e diversa, anche se l’operazione, almeno a mio parere, pur avendo potenzialità altissime, finisce con mio grandissimo rammarico, per essere incompiuta. Voto: 5-.
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