Regia di Afonso Poyart vedi scheda film
Decisamente un buon thriller psicologico. Qualche demente ha osato definirlo horror quando l'horror qua non c'entra assolutamente nulla. E' dunque un thriller e, in tale ambito, nient'affatto banale, sorretto da una sceneggiatura piuttosto originale che attinge a dubbi etici, al libero arbitrio e perfino a temi filosofici e che poggia anche su almeno tre (di quattro) prove d'attori piuttosto impegnative e ben dispiegate. Una delle prime cose che si notano dopo pochi minuti è una certa vicinanza con atmosfere e climi assai prossimi a quelli del celeberrimo "Seven". E ci sta, eccome, se consideriamo che il copione originale fu sottoposto proprio a David Fincher perchè ne facesse un sequel di "Seven". Ma di fronte al rifiuto del cineasta americano, il progetto rimase per diversi anni in qualche cassetto. Fino a quando non fu affidato ad un novizio (o quasi) brasiliano, tale Afonso Poyart. Ci si chiederà: ma è all'altezza di "Seven"? Beh, ci andiamo abbastanza vicini, perchè Poyart ce la mette tutta in quel senso, oltretutto aggiornando brillantemente lo spirito da anni 90 ai tempi nostri. E riesce con scaltrezza ad imbastire un dramma psicologico a tinte assai cupe, pieno di simboli e riferimenti. in due parole: un thriller "nero" credibile. Quindi cupezza, dolore e sofferenza ma mitigati da un segreto d'Amore nascosto nel cuore del protagonista che attribuisce un tocco romantico e dolce ad una vicenda di per sè colma di disperazione. Il nucleo centrale è presto detto. Una coppia (un lui e una lei) di poliziotti -che indagano su una serie di atroci delitti seriali- va a ripescare nella propria dimora dove si gode la pensione, un detective anziano e soprattutto dotato di preveggenza. Ma ciò che incuriosisce è il fatto che anche il killer del caso ha facoltà preveggenti.. E così abbiamo i due poliziotti e i due veggenti, tanto per riepilogare. E mi fermo qui, che per un thriller non è il caso di fornire troppi dettagli, andatelo a vedere e scoprirete il resto. Aggiungo solo un dettaglio: molti dei personaggi che si avvicendano sono condannati a morte da malattie incurabili, e questo è importante, nell'economia del racconto. Ombre metafisiche e vicoli oscuri dell'anima, piegano e conquistano lo spettatore che vi sia predisposto (io lo ero). Poi vabbè, leggendo le critiche si scopre che a molti non è piaciuto. De gustibus. Io amo il genere e l'ho trovato all'altezza dei migliori prodotti in questo ambito cinematografico. E infine una panoramica sul cast. Cominciando dall'anello più debole della catena, uno spaesato Colin Farrell che serve un personaggio forse troppo contorto per una resa felice. Poi andiamo molto meglio con un attore che mi è sempre piaciuto, l'ottimo (anche qui) Jeffrey Dean Morgan, poliziotto sfortunato. Quanto poi ad Abbie Cornish io ne sono perdutamente innamorato (in senso lato, ovvio) da anni. Abbie è una delle donne più graziose e belle del mondo, cinema a parte (poi vabbè, concedetemi una scivolata: in questo film non fa che indossare camicette cui -ovviamente sul petto- i bottoni sembra sempre siano sul punto di saltare). E siamo arrivati al punto. La questione Anthony Hopkins. Lui è un Gigante Assoluto della recitazione. Quindi la vogliamo finire di sentenziare che non fa che stancamente ripetere Hannibal Lecter? Nulla di più falso (basti pensare a come ha recitato per Woody Allen!). Diciamo che nei ruoli ambigui e psichicamente complessi dà il suo meglio, ma dire che è schiavo di un clichè, questo no, non lo posso tollerare! E' uno dei più grandi di Hollywood, punto. Ne è la prova questo film, dove la sua zampata leonina è più possente che mai.
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