Regia di Afonso Poyart vedi scheda film
Primo film internazionale per il brasiliano Afonso Poyart che si cimenta con un thriller con tanta carne al fuoco che mette in mostra capacità registiche che non si intravedono spesso.
Sembra comunque volersi far notare ad ogni costo, anche quando magari non servirebbe, rimane un buon biglietto da visita ed un nome da annotarsi se non altro per verificarlo alla prossima occasione e capire se nel suo caso il tempo porta o meno consiglio.
Una serie di omicidi mettono in crisi l’FBI, così che il detective Joe Merriwether (Jeffrey Dean Morgan), coadiuvato dall’intreprendente collega Katherine Cowless (Abbie Cornish), decide di chiedere aiuto al sensitivo John Clancy (Anthony Hopkins), capace di vedere nel futuro così come nel passato delle persone con le quali entra in contatto.
Ben presto Clancy si accorge si avere a che fare con qualcuno che ha le sue stesse capacità e la posta in palio si alza tremendamente.
Non deve (dovrebbe) essere facile poter vedere nel futuro delle persone, tanto più se basta il contatto umano più elementare per percepire cose che possono fare male.
Mettersi in un angolo del mondo diventa quasi un’esigenza, tanto più se si è visto in anticipo, e poi vissuto, il peggio che la vita ti possa offrire, ma poi questa condizione fa si che diventi inevitabile essere chiamati in causa per sbrogliare un caso.
E’ infatti un dono, ma anche una tremenda condanna, un privilegio (non richiesto) che porta con se infinito dolore ed in fondo solitudine in quanto eleva all’ennesima potenza la sensibilità (essere obbligati a perdere di vista la propria donna perché ogni volta che la sfiori ti ricorda un fatto che non si può affrontare … si può pensare qualcosa di peggiore?).
Questa capacità è propria dei due protagonisti del film, un thriller che spazia dalla ricerca del colpevole a temi più importanti (quanto è lecito soffrire per una malattia incurabile?).
Il mistero non è la chiave di volta (a partire dal fatto che si legge il cast e si aspetta di vedere comparire Colin Farrell), contano di più i personaggi, con le loro storie, tra passato, presente e futuro.
I momenti migliori sono affidati alle visioni, che permettono in primis ad Afonso Poyart di sbizzarrirsi (e di far vedere che ci sa fare) e comunque alle considerazioni sul valore della vita (anche nel dolore, ogni secondo è buono per lasciare un segno di se, almeno fino ad un certo punto), un tema tutt’altro che nuovo e che non trova considerazioni lungimiranti anche perché il film predilige un canale espositivo concitato.
A volte anche inutilmente, l’interrogatorio nel classico stanzino al marito di una vittima fa girare la testa senza che ce ne sia un reale motivo, a volte ricordando le lezioni del deja vu (alla “Source code” (2011) per intenderci), per cui ciò che accade può essere una visione anticipatrice che permette di mutare la sorte in corso d’opera.
A riempire (ulteriormente) il panorama arrivano alcuni colpi di scena (forti, ma non curati nel dettaglio) ed anche nella riproposizione delle azioni ci sono alcune idee visive che meritano attenzione, come la moltiplicazione in scena di un personaggio che si muove su più fronti, ovviamente nell’immaginario, come per capire quale sia la mossa giusta da fare.
Passando al cast, fa piacere ritrovare Anthony Hopkins in un ruolo chiave, forse gli anni pesano un po’ troppo (e il taglio di capelli è quasi invedibile), ma lo sguardo è sempre lo stesso (gli occhi possono essere la chiave di un’anima e Hopkins è un mostro di bravura naturale in tal senso), Colin Farrell sembra continuare su una buona rotta (appena visto in “The Lobster”), Abbie Cornish è un furetto che paga pegno (come il suo personaggio) e Jeffrey Dean Morgan non pecca di certo in presenza scenica.
Tirando le somme, “Solace” (titolo originale molto più significativo, il “conforto” non sarà nome abbinabile ad un thriller ma gli calza a pennello) è un film voglioso, e come tale destinato ad incepparsi, con un montaggio a volte fin troppo brusco (alcuni stacchi sono quasi brutali), incapace di insidiarsi sottopelle (almeno fino in fondo), quando avrebbe potuto farlo, appunto per il suo essere ipervolturato, ma sicuramente non lascia inerti, questo proprio no, è impossibile.
Fallibile, ma talmente vivo da riuscire ad urtare.
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