Regia di Isao Takahata vedi scheda film
Nel 2013, con “La Storia della Principessa Splendente” , Isao Takahata lascia ai posteri il suo testamento spirituale, un'opera estremamente essenziale e allo stesso tempo molto profonda e densa di simbolismi. Il film è basato su un antico racconto popolare giapponese, “Storia di un Taglia Bambù” (tranquillamente trovabile su Amazon, non è neanche molto lungo da leggere); tale soggetto, estremamente atavico e quanto mai distante dall'attuale cultura occidentalizzata del Giappone moderno, viene plasmato dall'inconfondibile stile dell'autore, il quale gli conferisce uno stile evanescente e strettamente personale. Prima di cominciare, come sapete, Isao Takahata è morto da poche settimane (rispetto a quando scrivo ora), e quindi, dedico la mia recensione a quello che insieme a Mamoru Oshii, era il più grande regista della storia dell' animazione. Ci tengo a ringraziare inoltre un mio amico virtuale esperto di cultura Giapponese (d'altronde la studia), che mi ha coadiuvato nella stesura della recensione fornendomi una marea di dettagli su alcuni aspetti della cultura del Sol Levante, molto utili per la comprensione ed analisi di quest'opera così particolare.
Storia semplice; un anziano tagliatore di bambù trova per caso un misterioso ed elegante essere luminoso nel fusto di una pianta di bambù. Per l'umile vecchio, tale essere dalle sembianze di una piccola principessa è indubbiamente un dono elargito dal cielo; dunque lo accoglie con gioia nella sua casa e decide di crescerlo come un figlio. In breve tempo, da essere magico la piccola principessa è diventata un neonato che cresce a dismisura, e questa rapida crescita porterà in breve tempo Gemma di Bambù, questo è il nome affibbiato alla misteriosa bambina, data la sua sovrannaturale capacità di sviluppo, a diventare una vivace ragazza allegra e piena di entusiasmo. Tuttavia, è impossibile per Gemma di Bambù evitare il momento in cui dovrà dire addio alla felicità: ella verrà condotta dai genitori adottivi in città, venendo costretta a rinunciare a quella simbiosi con la vita che alimentava quelle gaie giornate in cui la meraviglia del vivere era meramente indotta dalle cose semplici, mentre ora dovrà diventare suo malgrado una raffinata dama dell'alta società, perché tale, secondo il vecchio tagliatore di Bambù, è la volontà divina. Ma la volontà divina è molto distante dall'uomo; è un qualcosa di incomprensibile, di sfuggente, di intimamente legato alla natura delle cose. La Principessa Splendente (traduzione esatta di Kaguya come viene chiamata nel racconto), nata da una canna di bambù e intimamente legata all'essenza della vita, è tristemente sola nel mondo degli uomini; quel mondo di menzogne così distante dal luogo superno in cui ella viveva prima d'incarnarsi sulla terra.
Il folklore giapponese è denso di simbolismi legati allo shintoismo e al buddhismo; e, in "Storia della Principessa Splendente", questi elementi sono altresì presenti in grande quantità. Il film tuttavia propende verso una concezione vitalistica più affine allo shintoismo che al buddhismo: secondo Isao Takahata, le passioni e la vita terrena non vanno disprezzate, ma sono cose necessarie alla propria crescita interiore. La “Storia della Principessa Splendente” è quindi paragonabile ad un percorso in cui la meta/non-meta finale, ovvero il Nirvana, l'annullamento, il distacco ultimo dalle cose terrene, è l'ultima tappa di un cammino fatto di sofferenza, di gioia, di amore, di comprensione, di rabbia, di perdita. Nel film ritorna la poetica dell'autorealizzazione del sé, nonché il contrasto presente tra la ricerca di sé stessi e i vincoli imposti dalle formalità della vita urbana (si pensi al capolavoro ”Pioggia di Ricordi" del 1991). Il finale del film è molto evocativo, e con il suo retrogusto spiccatamente drammatico lascia intendere il messaggio-testamento dell'autore, un grande inno all'esistenza e alla totalità delle cose, ovvero a quell'illimitato mare in cui è ancora possibile trovare sé stessi nonostante l'opposizione delle fredde ed imperturbabili leggi decretate dall'uomo e dalle divinità. Se da un lato La “Storia della Principessa Splendente” è puro folklore, dall'altro è pura poesia; e questi due elementi corrispondono tra loro con la giusta armonia. Isao Takahata con quest'opera decide di restare un grande poeta sino all'ultimo, senza smentire la sua fama di artista dotato di un'innata sensibilità e di un'intellettualità particolarissima e ricercata. Con questo film, il regista và a scandagliare le profondità abissali dell'esistenza, perdendosi nei meandri del patrimonio collettivo e atavico della cultura del Giappone antico.
Il tema della "ragazza che scompare" è molto ricorrente nel folklore giapponese, e antropologicamente è intimamente legato a quel passato comune a tutti i popoli in cui avvenne la transizione dal matriarcato al patriarcato: non a caso la Principessa Splendente possiede una grande affinità con la Luna e con il raccolto, entrambi elementi considerati sacri nelle varie tradizioni matriarcali appartenenti alle culture ancestrali di tutto il mondo.
Chiudendo la precedente divagazione, la Principessa Splendente di Takahata non è soltanto un mero archetipo, giacché egli la plasma infondendole una caratterizzazione molto particolare, più vicina a quella di una vera ragazza in carne ed ossa che a un simbolo dai connotati mitologici. La principessa ride, piange, si tormenta, e viene altresì colta dal dubbio. Ella è sacra e profana allo stesso tempo. Tra le numerose scene del film, una in particolare è rimasta impressa nella mia memoria: quando la protagonista fa notare alla madre adottiva che, se visto da una prospettiva differente, il giardino presente nella loro casa in città sia in realtà molto simile alle campagne dalle quali si erano trasferiti. Tale scena, nella sua estrema semplicità, nasconde un significato molto profondo; la natura ripete sé stessa su scale differenti, differenziandosi e allo stesso tempo conservando la stessa sostanza in tutte le sue innumerevoli manifestazioni. Su un diverso piano di lettura, gli steli che paiono alberi e le formiche che paiono animali di campagna stanno lì a simboleggiare che le cose sono strettamente legate al modo con cui le si osserva; e che neanche un'artificiosa città abitata da degli altrettanto artificiosi uomini si può sottrarre alle sostanziali ricorrenze della natura.
Per quanto concerne gli aspetti tecnici del film, la regia estremamente d'autore si dimostra in grado di trasmettere lo stato d'animo della protagonista facendo esprimere ai fondali, ai colori e ai suoni l'essenza della sua stessa anima. In una scena, ad esempio, la disperazione della Principessa viene rappresentata mediante un tetro lamento dell'intera natura circostante: gli alberi diventano improvvisamente scuri, aggrovigliati, il tutto si fa angoscioso, frenetico, opprimente. Takahata fa parlare direttamente l'immagine come se fosse una poesia dai versi aspri e cupi, fornendo alla sua opera affascinanti risvolti espressionisti. Lo stile di disegno è alquanto particolare, un misto tra design tradizionale e sperimentalismo grafico; gli acquarelli e l'indeterminatezza del tratto, che rimane sul vago risultando allo stesso tempo estremamente espressivo, rendono la visione molto simile a un sogno ad occhi aperti. Inoltre, risulta perfettamente azzeccato nel raffigurare una figura panteista come quella della ragazza. La vivacità della Principessa Splendente si riflette come d'incanto nelle suggestive ed eteree visioni naturalistiche dell'autore, quei luoghi dal cielo bianchissimo e imperturbato tipici della sua poetica.
In conclusione a mio avviso questo non è affatto un film per tutti, ma un prodotto estremamente di nicchia, godibile appieno soltanto da chi ha una certa dimestichezza con la cultura giapponese probabilmente, ma visto come è narrato e la grande importanza data all'immagine, al contempo risulta anche un film universale. E' una fiaba molto profonda, che andrebbe rivista più volte per poterne coglierne le molteplici sfaccettature. Flop al botteghino in Giappone, ma enorme successo di critica in tutto il mondo, peccato che alla notte degli oscar venne sconfitto dallo scialbo quanto insignificante Big Hero 6 e il povero Takahata dovette accontentarsi di un' oscar fatto di mattoncini lego come premio di consolazione.
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