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La moglie del poliziotto

Regia di Philip Gröning vedi scheda film

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La recensione su La moglie del poliziotto

di Peppe Comune
8 stelle

Uwe (David Zimmerschield) e Christine (Alexanda Finder) sono una giovane coppia con una figlia di 4 anni, Clara (Chiara Kleemann). Vivono in una bella casa in una tranquilla cittadina tedesca posta vicino ad una vasta zona boschiva. Lui è un poliziotto, premuroso in famiglia e metodico sul lavoro.  I' essere un poliziotto lo costringe spesso a trascorrere le notti fuori casa.  Lei si preoccupa soprattutto della crescita della figlia, cercando di insegnargli la bellezza del canto e di infondergli l’amore per la natura e gli animali. La loro sembra una famiglia come tante, improntata ad una serena convivenza, con gli alti e bassi che fanno parte della vita di coppia. Ma gli scatti d’ira di Uwe agiscono sotto l’epidermide del loro equilibrio coniugale. E a Christine non resta che proteggere Clara, offrendogli come dono la conoscenza delle cose belle offerte dalla natura.

 

David Zimmerschied, Alexandra Finder

La moglie del poliziotto (2013): David Zimmerschied, Alexandra Finder

 

 

“La moglie del poliziotto” di Philip Groning è un film volutamente anti narrativo perché investe più sul far vedere la natura stratificata di un complicato rapporto coniugale che nello spiegarne gli sviluppi fenomenologici. Tratta di quella violenza domestica che si impossessa della vita quotidiana poco alla volta e che spesso agisce senza preavviso e senza fornire spiegazioni plausibili. Una forma di violenza che una volta che ha messo solide radici genera abitudine e logoramento insieme, incapacità di saperla riconoscere per quella che è e disillusione rispetto alla possibilità di poterla combattere. Queste sensazioni emergono in maniera palpabile dal modo in cui è strutturata la messinscena, più incline ad agire per sottrazione che a fare dell’esibizione manifesta della violenza il centro propulsore della storia. La carica psicodrammatica presente nel film tende a crescere molto lentamente, prendendosi tutto il tempo che ci vuole per assumere la forma più confacente alle caratterizzazioni dei protagonisti. La violenza praticata da Uwe sulla moglie rimane per lo più fuori campo, ciò che ci consegna Groning sono delle azioni riflesse che sono come sospese nell’aria a produrre significati, il palesarsi graduale di numerosi segni indiziari. Come i lividi presenti sul corpo di Christine, che spesso la regia cattura con inquadrature particolareggiate proprio mentre la coppia sta trascorrendo momenti di serena convivialità. Così come dedica interi piani sequenza ai mutati comportamenti domestici di Christine proprio mentre ricerca nella piena partecipazione alla vita il modo a lei più congeniale per non soccombere. Perché sono i dettagli a chiedere con forza di avere più visibilità cognitiva : i silenzi prolungati, il dolore trattenuto, le insicurezze tenute a freno, gli scarti emotivi, la latente competizione dei coniugi per accaparrarsi la complicità di Clara. Tutte cose che agiscono per contrasto rispetto alla volontà di potenza del marito e alla fiera resistenza della moglie, utili per dare un senso più compiuto al tipo di violenza domestica rappresentata, che è tanto più pericolosa quanto più sa insinuarsi docilmente nell’esistenza routinante di una coppia. Tra una carezza sincera e ostentate esibizioni di machismo. “Non sono niente senza di te. Tu sei la mia base. La base della mia logistica. E mi stai distruggendo”. Parole queste che evidenziano l’amore ossessivo che l'uomo nutre per la moglie, che fanno il paio con il suo muoversi spesso come un segugio all’interno della casa, soprattutto quando rincasa dopo un servizio notturno. Continuando a fare il poliziotto quindi, aspettandosi sempre che Christine si trovi nel posto dove lui si aspetti che stia, che la moglie si muova nella casa e si comporti con la figlia assecondando i suoi tempi e il suo stato emozionale. L’umore di Uwe è un qualcosa che deve rimanere sempre al centro di tutto, questo non gli impedisce di essere un padre amorevole e un marito premuroso, ma la sua piena complicità familiare conosce troppe deroghe per non generare frustrazioni telluriche in chi ci vive accanto. Christine si adegua alla personalità ondivaga del marito con sofferta partecipazione, palesando una fragilità emotiva che poco alla volta la porta ad assumere un rapporto sempre più protettivo con la figlia. Un rapporto che passa per le canzoncine cantate insieme, l’insegnamento delle cose del mondo, il rapporto con la nuda terra, l’innocente curiosità per ogni tipo di animale. Un rapporto che va facendosi sempre più totalizzante, sempre più simbiotico. Non si tratta di passiva sottomissione, ma del tentativo di difendere il difendibile, di preservare ciò che c’è di bello e gioioso nel suo amore maledetto.

Prima si è accennato alla struttura della messinscena come ad un elemento fondamentale del film. La cosa più importante è il fatto che “La moglie del poliziotto” è diviso in capitoli, ognuno dei quali sembra voler rappresentare il pezzo di un mosaico da dover ricomporre nella maniera più coerente possibile. Perché la storia non segue una lineare concatenazione di fatti ma è frammentata in modo che i capitoli siano tra di loro sovrapponibili senza che si perda il senso profondo che il quadro complessivo intende trasmettere. La normale dimensione spazio-temporale deve sottostare all’esigenze della forma racconto, chi guarda è indotto a interpretarne il senso muovendosi tra i capitoli con partecipato coinvolgimento emotivo. La maggior parte sono dei “ritratti interni di famiglia”, diversi ci conducono all’esterno a giocare e a gioire con la natura. Alcuni durano pochi momenti, altri sono sequenze autosufficienti. Qualche volta si è proiettati verso un altrove non ben precisato, probabilmente a contatto con il riflesso della vita futura di Uwe. Una vita votata alla solitudine.         

Inizio del capitolo 1. Fine del capitolo 1. Inizio del capitolo 2. E così via. Fino al capitolo 59, come una liturgia laica che imperterrita segue il suo necessario cammino. Come la tela di un ragno nata dall’intreccio casuale dei suoi fili. Una tela che di volta in volta cattura corpi che si intrecciano con passione, incombenze lavorative, scatti d’ira improvvisi, complicità filiali, filastrocche cantate tutti insieme, ellissi temporali, tensioni domestiche, silenzi omertosi, quadri faunistici, visioni enigmatiche, inserti naturalistici. A mio avviso, il 45 è un capitolo chiave per l’economia della storia. Uwe e Clara stanno giocando insieme con un videogame. Christine arriva e si siede accanto a loro. Il suo volto è prossimo alle lacrime, probabilmente ha subito in precedenza delle percosse. In quell'istante preciso lei è la dimostrazione che nei momenti di massima crisi esistenziale quella complicità tra padre e figlia, che pure tenta in ogni modo di favorire, gli appare come un fardello troppo pesante da poterla sostenere. A conferma di questa impressione, la donna va a chiudersi nel bagno e si spoglia nuda. Si mette a fumare, ben sapendo che questo farà infuriare il marito. Uwe apre violentemente la porta e così Clara vede il corpo della madre ricoperto di lividi. Il padre poi gli spiega che “la mamma ha una strana malattia. Quando la pizzichi, o quando sbatte contro qualcosa, le viene un grosso segno blu”. Una spiegazione agghiacciante nel suo voler fornire una spiegazione semplice e comprensibile per una bambina di quattro anni. Perché tende ad anestetizzare un dolore con innocua spavalderia spostando il senso di colpa su chi ne è vittima. Perchè, in quel preciso momento, dal punto di vista di Christine, la difesa dell'innocenza è passata per l'iniezione di una bugia insopportabile. Una bugia che meriterebbe un gesto riparatore. Come lascia intendere l'enigmatico filnale.

Certe cose vanno sapute raccontare per poterle rappresentare in una maniera verosimile. Non è necessario mostrarle in bella evidenza e raccontarle minuziosamente per fargli assumere la pretesa di verità. Il Cinema non deve pretendere di spiegare un fatto, ma tendere a fornire tutti gli indizi del caso per farcelo vedere nel modo più chiaro possibile. “La moglie del poliziotto” assolve bene questo compito in quasi tre ore di bella regia. Grande film.                               

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