Regia di Philip Gröning vedi scheda film
Al centro di La moglie del poliziotto, vincitore del Premio speciale della giuria alla Mostra di Venezia 2013, c’è la violenza domestica, ci sono le percosse di un marito alla moglie e la coercizione psicologica di una bambina di quattro anni. Attraverso un tortuoso percorso di 59 capitoli, ciascuno aperto e chiuso dalle parole «inizio» e «fine», il film affronta uno dei temi più attuali del nostro tempo differendolo però da un punto di vista sia narrativo sia visivo. Philip Gröning imbastisce la sua trama con meccanica freddezza, giocando di sottrazione e lasciando tracce di azioni quasi mai viste. Dei maltrattamenti racconta solamente l’inizio e la fine, le cause e le conseguenze, e in questo modo l’effetto dell’opera è ancora più devastante di uno sguardo diretto verso l’orrore. In una casa filmata come un luogo irreale, angusto e gigantesco, innaturale e accogliente, attraverso gesti comuni come dormire, lavarsi, mangiare, giocare, la realtà del film si fa così concreta da diventare inafferrabile, incomprensibile come i meccanismi di potere e sottomissione all’interno di una coppia e di una famiglia. Tutto è lì, davanti agli occhi, eppure tutto è distante e imprendibile. La moglie del poliziotto è un film di superfici, di sensazioni fisiche e di paura, di sangue che scorre sotto la pelle e di lividi che crescono sopra. Dentro, però, non arriva mai: all’interno, infatti, l’orrore è intollerabile come lo sguardo di bambina su cui la pellicola si chiude e dopo il quale compare per l’ultima volta la parola «fine».
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