Regia di Alfredo Giannetti vedi scheda film
roma. un quartiere popolare. gabriele(castelnuovo)scende di casa chiamato dall'amico david(e). vanno alla partita, ma gabriele continua a girarsi indietro a guardare una finestra di casa. fermo immagine sulla finestra, protetta da una grata a maglie larghe sulla quale sembra abbandonato(incastrato, imbrigliato, imprigionato) il corpo di un ragazzo. quel ragazzo è dario(milian)suo fratello, oppresso da una grave infermità mentale. quel fermo immagine con un adagio in sottofondo che scoppia a commentarlo, è ancora oggi un'immagine molto potente. questo fantoccio sgarruppato coi fili tagliati che giace dietro quelle sbarre chiuso dentro casa e controllato a vista dalla madre tilde(robinson) che lo ama tanto da tralasciare gabriele e il marito(carraro). giannetti anche sceneggiatore costruisce di fino ciò che minaccia emotivamente e/o promette spettacolarmente nel titolo. una famiglia che sopravvive col laboratorio di sartoria del capofamiglia che non riesce ad ingranare, vive assoggettata alla malattia mentale di uno dei figli. il padre orgogliosamente ha fatto il grande passo, venendo via da una sartoria da cui è tutt'ora molto ben voluto, ma sa che sta attraversando gravi problemi finanziari. gabriele è costretto spesso e volentieri a badare al fratello infermo a discapito della sua giovane vita, mentre la madre si dedica anima e corpo alla disabilità di quel figlio che "doveva" studiare per riuscire in qualcosa. dettagli esplicativi sul passato di quel nucleo famigliare, vengono centellinati qua e là e forse oltre ad una tara genetica, possiamo dare un senso al malessere di dario. interviene l'internamento coatto in una struttura lager dove se non olii gli ingranaggi giusti, gli ammalati vengono trattati tutti allo stesso modo. la madre dissemina di mance e pacchetti di sigarette i vari infermieri(mario scaccia, mario brega, silla bravissimi), ma resta il fatto che dario è pari a tutti gli altri che ci vengono mostrati, senza nome. sono immagini dure e sgradevoli, anche se ad interpretarli sono figuranti o attori. giannetti è bravo, ha sensibilità e sa comunicarla. anche in dialoghi sfuggevoli tra comparse, come quando il padrone di david(e) si scambia rabide battute sul fatto che il ragazzo sia un giudeo. un film che mi ha sorpreso e scioccato per come è riuscito e ha saputo raccontare la malattia e il disagio dell'intera famiglia. la famelicità del vicinato accorso a vedere gli infermieri che trascinano via dario impazzito. i carabinieri che non sanno come fare per mandare via la calca per far passare il paziente. e il lavoro sugli attori, nonostante il doppiaggio della robinson(vabbè), milian(ri-vabbè) scaccia e castelnuovo. tutti bravissimi a cominciare da carraro, il padre desiderato e paventato, il padre di famiglia che non riesce a mantenerla e che fermo rifiuta di tornare sotto padrone. la lavorante madre sola, che scambia un formidabile giro di battute con riccardo garrone in mutande nel laboratorio.... lui galletto: "non mi dirà che non ha mai visto un uomo in mutande?...." lei dopo averlo apostrofato: "signorile!!!!!..... no certo e spero che non sarà l'ultimo". giannetti è mirabile nel creare atmosfere normali, di banalità quotidiane in ambienti dove la difficoltà anch'essa è quotidiana, come quando carraro si reca al blocco 4 a cercare la sua lavorante e mentre le prova il tailleur si crea un momento intimo che fa presumere qualcosa. quel bianco e nero che sfuma nell'inverno dei cappotti, in un finale dove la stessa parola fine bianca è potente come l'inizio di quella storia, perchè la storia nonostante la parola, non è finita.
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