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Capitan Harlock

Regia di Shinji Aramaki vedi scheda film

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La recensione su Capitan Harlock

di lussemburgo
4 stelle

Se la nostalgia di vagheggiati ricordi di un passato televisivo può portare in sala a vedere l’aggiornamento cinematografico della serie degli Anni Settanta, la delusione allora si impone feroce verso un’estetica videoludica che inghiotte il moderno Capitan Harlock in una profusione di effetti speciali e di battaglie spaziali con personaggi che sembrano tutti derivazioni genetiche di una comune matrice dai capelli impeccabilmente lavati e morbidi.

La fedeltà non è un valore a sé stante e la ricerca del noto soltanto una vana aspirazione, ma alcune modifiche sostanziali al personaggio principe rendono irriconoscibile l’atmosfera antica (manca l’ambiguo rapporto con la bambina dall’ocarina; l’aliena parlava solo con il pensiero perché priva di bocca) e Harlock si sposta nella penombra di un nome che riecheggia nella memoria dello spettatore e nel vuoto siderale del mito, inquadrato sempre senza luce diretta e ridotto ai tratti riconoscibili dei colori del mantello e del taglio di traverso al volto. Silenzioso e dannato come da memoria, sembra agire per uno scopo preciso, che l’equipaggio scambia per speranza e il governo interplanetario addita a tradimento ma che, al pari del personaggio, rimane ammantato di mistero sino allo svelamento.

Nichilista e anarchico, Harlock perde l’aura poetica della trasposizione televisiva (con la sua scabra ingenuità) per riproporsi in veste esistenzialista e dolente, afflitto dal senso di colpa di un passato sbagliato nel tentativo vano di ricerca di una speranza più democraticamente diffusa. L’intera trama è costruita sull’idea del ritorno a casa e del diritto all’esistenza sul pianeta natio, desiderio che muove l’equipaggio dell’Arcadia contrastato dalla difesa del suolo sacro garantita invece dall’ordine costituito che, per fermare Harlock, ribelle invincibile, infiltra trai suoi uomini una talpa. Gemello estetico di Harlock (per disegno CGI) e fratello dello stratega governativo (per disegno narrativo), il giovane Logan si ritrova strattonato tra divergenti lealtà e a lungo rimane incerto per infine sposare in parte la causa della speranza e della ribellione.

Appesantito da spiegazioni introduttive e lunghi intermezzi didascalici a chiarimento dell’ambientazione e degli innumerevoli antefatti, il film si perde in incomprensibili anglicismi innestati in dialoghi pregni di precise e fantasiose denominazioni di orpelli tecnologici che risultano in un dizionario di sterili invenzioni lessicali senza vero valore aggiunto. E, soprattutto, la trama rimane confusa nei suoi snodi principali. Nel profluvio di informazioni accessorie, il film dimentica di motivare i personaggi e propone soluzioni ex abrupto, sostituisce personaggi come pedine con analoghi e derivati senza soluzione di continuità narrativa, lascia Logan erede designato di Harlock (ma come tale era già stato disegnato), una nuova aliena al posto della precedente (ma sempre in pericolo di estinzione) in modo che, come in tutti i miti, ogni cosa rimanga identica pur nella sua trasformazione radicale e la stabilità prosegua a scapito del racconto, che si arena nella ripetitività.Come in ogni facile retorica, la poesia si racchiude in un fiore che sboccia dove non dovrebbe a significare il palesamento di una speranza irriducibile. Ma già Wall-E aveva proposto l’identico artificio con migliore sensibilità, più ironia e maggiore simpatia, senza rinunciare al sarcasmo del contesto e all’intelligenza del monito, pur nella commedia anche slapstick.

Probabilmente influenzato dalla serialità americana di ambientazione spaziale come Firefly (solo umani nello spazio e il western come genere matrice) e Battlestar Galactica, Capitan Harlock perde la derisione disillusa della prima e la profondità filosofica della seconda imitandone solo l’esteriorità dei trucchi (salti nell’iperspazio, zoom con riquadratura) ma avvalendosi infine soltanto dell’impianto narrativo da videogame (inizio in medias res dopo spiegazione introduttiva, prevalenza delle sequenze di scontro e intercalare di elementi mnemonici con flashback personali, tentativo di costruzione di uno sfondo generale dettagliato per incorniciare il presente in un ambito più ampio) a cui la stereoscopia (post-prodotta) dà fluidità ma non vitalità. Reboot del manga e della serie tv derivata, Harlock sembra una produzione spettacolare senza anime, con personaggi involucro che imitano un’umanità affranta e schiacciata dall’estetica di un universo circoscritto nel video gioco, dove il protagonista sembra rassegnato alla decadenza pur nell’immortalità, relegato a semplice segno su una superficie opaca e scivolosa dove tutto scorre senza incidere, lasciando visibili cicatrici a simulare ferite effettive le quali, assieme alle penombra degli affetti e del tormento, cercano di dare parvenza di dignità realistica a volti di plastica.

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