Regia di Carlo Mazzacurati vedi scheda film
Girato negli ultimi mesi della sua vita, La sedia della felicità è l’ultimo regalo cinematografico di Carlo Mazzacurati, uno degli ultimi autori popolari, descrizione che possiede un significato in buona parte smarrito nel tempo, propria di chi è capace di arrivare con le sue opere a chiunque, cercando comunque di dire qualcosa in più, coniugando sorrisi e (un po’ di) pensiero.
Il film presenta alcune debolezze che meritano comunque di essere considerate - e perdonate - in funzione di una sincera generosità e di partecipazioni notevoli.
Bruna (Isabella Ragonese) è un’estetista afflitta da problemi economici che scopre l’esistenza di un potenziale tesoro nascosto all’interno di una sedia. Insieme al tatuatore Dino (Valerio Mastandrea), cerca di rintracciare l’oggetto ma il modello ha più copie, per giunta sparse in tutto il Veneto.
Come se le complicazioni non fossero già sufficienti, scoprono di non essere gli unici impegnati nella ricerca e, nel frattempo, la vita di tutti i giorni non ha alcuna intenzione di dimenticarsi di loro.
La sedia della felicità è un’opera che, per quanto imperfetta, ha il merito di rientrare nella categoria della commedia all’italiana, cosa che ormai avviene saltuariamente. Certo, una volta si faceva, spesso e volentieri oltre che assai meglio, ma lo stampino - lo abbiamo imparato - è andato perso nel corso degli anni, per cui è facile appassionarsi e sorprendersi seguono la rocambolesca vicenda diretta da Carlo Mazzacurati, soprattutto per quegli spettatori principalmente avvezzi al cinema recente.
Il regista padovano si muove nel produttivo nord est a lui tanto caro, dove sempre più persone devono fare i salti mortali per sbarcare il lunario, con la crisi - prima di tutto dei valori – che attanaglia e vari pezzi della società persi per strada: se rimani indietro, devi risalire la corrente ma non siamo dei salmoni.
Da qui prende corpo lo schema narrativo, un potenziale tesoro aguzza l’ingegno e accende la speranza, dando il là a una ricerca del benessere che tocca tanti bei volti, tra vizi, donne, il malaffare, il videopoker e addirittura il ritorno al baratto.
Un insieme nel quale, se qualcuno sta bene, magari proponendo trucchi a buon mercato, come fa il mago impersonificato da Raul Cremona, gli altri cercano il miracolo o, in alternativa, guardano a se stessi senza concessioni, nemmeno quando si parla di un favore che non costerebbe nulla.
Per questa ricerca a tappe, Valerio Mastandrea e Isabella Ragonese sono perfetti, normalmente capaci, a un passo dal fallimento, pronti ad andare avanti ostinatamente ben sapendo che forse è tutto un sogno e che barcamenarsi è un obbligo, com’è ormai per sempre più italiani. Intorno a loro, ben sapendo che per Carlo Mazzacurati è il prematuro passo d’addio, ecco la parata dei suoi attori storici: Silvio Orlando e Fabrizio Bentivoglio regalano un frizzante duetto televisivo, Antonio Albanese si sdoppia (a volte basta una battuta tranciante) e Giuseppe Battiston interpreta un prete ben conscio del valore del denaro.
Anche grazie a queste comparsate, La sedia della felicità risulta essere scritto con garbo, con un’attenzione particolare alle piccole cose così come alle espressioni più diversificate, giusto un po’ scriteriato e sghembo, quasi improvvisamente aleatorio sul finale, come se fosse finita la birra o fosse arrivata in anticipo la scritta game over. Un difetto difficile da trascurare, ma forse, vista la situazione, era semplicemente inevitabile: le cose cambiano, le deadline mutano ma il nettare essenziale è quello del miglior Carlo Mazzacurati.
Un addio vivace e colorito, da amare e, in piccola parte, perdonare per le sue imperfezioni.
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