Regia di Carlo Mazzacurati vedi scheda film
Valerio Mastandrea fa il tatuatore in una bottega con vetrina accanto all’estetista Isabella Ragonese. Dai loro accenti non si direbbe, ma siamo in Veneto, zona Jesolo, ed entrambi, in bolletta e perseguitati da sfighe varie, si alleano per cercare la svolta della loro vita. Rappresentata da una bella sedia nelle cui fodere Katia Ricciarelli, lei sì “serenissima”, ex moglie di un bandito, ha nascosto un tesoro. Sulle cui tracce è anche il cappellano del carcere, Giuseppe Battiston. Il film postumo di Carlo Mazzacurati ha il sapore del testamento. Tutti i “suoi” attori hanno una piccola parte (Albanese addirittura due... gemelli; spicca l’imbonitore Bentivoglio) e la vicenda stessa pare complementare a quella di La lingua del santo.
Il regista ha il tocco ironico e caustico ideale per raccontare una provincia così glocalizzata, e sono al solito le figure di sfondo, definite con la precisione di un miniaturista del cinema, a divertire di più. Dallo strozzino Natalino Balasso al mago Raul Cremona al fioraio Marco Marzocca al pescivendolo Roberto Citran alla veggente Milena Vukotic, La sedia della felicità assume le sembianze dell’opera corale, dove ognuno è portatore di una piccola storia. Certo, il finale in montagna è un po’ assurdo, ma questo è un film nei confronti del quale è impossibile qualunque giusta distanza, e il critico si ferma un attimo prima.
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