Regia di Philippe Garrel vedi scheda film
Per chi non conosce Philippe Garrel, "La gelosia" potrebbe risultare un concentrato di anomalie, caratterizzato com'è da un linguaggio cinematografico che si pone fieramente al di fuori del tempo e delle mode. Immerso in un bianco e nero patinato e demodè, recitato in maniera compassata e animato da una gravità implosa, "La gelosia" porta in scena una vicenda di ordinario disamore che procede secondo un canovaccio ampiamente risaputo. Louis (Garrel) e Claudia (Anna Mouglalis) infatti sono due amanti la cui complicità viene messa a dura prova da un'esistenza avara di soddisfazioni e di risorse finanziarie. Se lei ha rinunciato al riconoscimento del proprio talento artistico nella speranza di trovare un lavoro stabile, Louis si divide tra le attenzione per la piccola Julie, nata da una precendente relazione, e una carriera d'attore teatrale che però stenta a decollare. Tra ambizioni frustrate e continue tentazioni il rapporto non tarderà a deteriorarsi
Che per Garrel il cinema sia un modo per parlare di se è un fatto oramai acclarato. In questo caso, al di là dei coinvolgimenti familiari - Louis ed Esther Garrel- chiamati a recitare la parte di fratello e sorella, lo spunto autobiografico finisce per dominare l'intera storia, che, ove si eccettui la collocazione temporale trasferita ai nostri giorni, trasfigura per filo e per segno il vissuto del padre del regista. Un gioco di specchi, dove l'arte nell’imitare la vita non riesce a spogliarsi del suo cotè più intellettuale, destinato a fare capolino negli atteggiamenti ombelicali dei protagonisti, nell'egotismo che li crogiola in un'inerzia compiaciuta e decadente, e in quello spleen in cui certo cinema francese ama declinarsi. Ciononostante, o forse proprio per questo Garrel è riuscito a crearsi un segno distintivo che ne ha fatto un punto di riferimento per quella parte di borghesia che ama immaginarsi più emancipata di quanto non lo sia, e a cui piace sentirsi depositaria della grande utopia sessantottina.
Cinema "partigiano" dunque, destinato a esaltare un numero ristretto di eletti, a cui il regista offre un kammerspiel che fa controllo formale uno dei suoi tratti distintivi. Frammentando la narrazione con sequenze che ogni volta s’interrompono all'acme della tensione emotiva, Garrel riesce ad alzare il tasso di esistenzialismo della storia e nel contempo ne impedisce le conseguenze più nefaste, quelle che normalmente appesantiscono la drammaturgia. In questo modo il film riesce a farsi apprezzare per lo straniamento prodotto dal contrasto tra dramma interiore e compostezza figurativa, che nel film risulta controllata ai limiti della maniera, con la distanza dai corpi ottenuta con largo uso di campi medi e lunghi che li rende emblematici di una condizione umana universale e condivisibile. Irritante quando trasforma i dialoghi in sentenze filosofiche, "La gelosia" ha però un fascino retrò che a Venezia 2013 gli stava per valere il premio poi andato a Gianfranco Rosi.
(icinemaniaci.blog.com)
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