Regia di William H. Macy vedi scheda film
Di fronte a un lutto devastante, non esistono regole d’ingaggio prestabilite, tanto più quando sul tuo stato psicologico insistono dei sensi di colpa che annientano ogni forma di reazione. Chiaramente, la spada di Damocle è sempre lì, la puoi momentaneamente ignorare ma non eludere nottetempo. In fondo, la vedi e senti a chiare lettere, ma poi può sempre sopraggiungere quell’ingrediente inaspettato che ti ridona linfa vitale, che acquisisci quantunque, forse, non sarebbe corretto farlo. D’altronde, quando sei sottoterra, ogni appiglio va afferrato senza fare troppo gli schizzinosi.
Detto questo, rimane il fatto che giudicare sia sempre l’azione più facile che possiamo intraprendere. Allo stesso tempo, il godimento di un raggio di sole, quando vaghi nel bel mezzo delle tenebre e la tua anima sarebbe disposta a qualsiasi contrappasso pur di ottenere un pizzico di conforto, non può essere catalogato come un peccato capitale.
In seguito alla morte di suo figlio Josh (Miles Helzer), Sam (Billy Crudup), un uomo di successo, è crollato. Ha mollato tutto, preso una barca e cominciato a vivere in disparte, distruggendosi con l’alcol. Questo fin quando non scova uno scatolone contenente le canzoni scritte da suo figlio. Suonandole in un club, finisce per subire le pressioni di Quentin (Anton Yelchin), un giovane musicista che in esse vede l’occasione per costituire un gruppo musicale e affermarsi.
In breve, avranno l’occasione di suonarle per un pubblico importante, ma il segreto che si cela dietro la loro composizione non potrà rimanere nascosto a lungo, poiché Kate (Selena Gomez), l’ex ragazza di Josh, non tarderà a farsi viva.
Dai tempi di Fargo, tutti i cinefili che si rispettino hanno imparato a conoscere William H. Macy come attore di rango, che con Rudderless/Ti lascio la mia canzone esordisce alla regia.
Si tratta di uno stesura eseguita a cuore aperto e sanguinante, con delle smagliature, che comunque non gli impediscono di iniettarsi nelle vene di chi guarda, attecchire stimolando un caleidoscopio emozionale che passa con estrema disinvoltura dalle note più limacciose a quella speranza che non si nega a nessuno.
La trama è decisamente lineare, per quanto nel suo dragare gli stati d’animo passi dallo sconforto e dall’accidia di chi non vuole più saperne niente della vita, a improvvise rapsodie luminose che ridanno una motivazione, se non addirittura il sorriso.
In tutto questo, la musica è un motore trascinante e inesauribile, una colonna vertebrale che comunque non può fare miracoli, almeno non definitivi. D’altronde William H. Macy non sarà un regista fatto e finito ma conosce le regole del cinema di serie A e di conseguenza sa dettare linee che vanno oltre ogni azione.
È così che una serie di pezzi finiscono dritti nell’Ipod e il finale non ha bisogno di raccontarci stori(ell)e che nella realtà non vedremmo mai. Basta uno spartito, cantare la verità, svuotare le tasche di ogni sassolino e sciogliersi senza paura alcuna del giudizio altrui.
In questo modo, Ti lascio la mia canzone è consapevole di non mirare alla perfezione, non è performante ma affonda il colpo, grazie a una manciata di canzoni scritte apposta per l’occasione (le trovate tutte online, per invogliarvi vi lascio giusto Sing along per farvi un’idea) e a due protagonisti che fanno gli straordinari. Billy Crudup si riscopre anima musicale quattordici anni dopo Almost famous – Quasi famosi ed è di una bravura annichilente, travalicando il ruolo di caratterista affidabile che spesso riveste (Jackie, Le donne della mia vita,), mentre Anton Yelchin ha una vitalità ingenua e scostante, che fa doppiamente male pensando alla sua prematura – e ingiusta – dipartita.
Struggente e imperfetto, contraddistinto da un’energia interiore che gli consente di relegare in un angolo le sue manchevolezze.
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