Regia di Erdem Tepegoz vedi scheda film
Zerre. La particella. Zeynep è un dettaglio minuscolo e sfuggente, nelle strade di Istanbul, in mezzo alla folla dei quartieri popolari, confusa tra i cumuli di rifiuti e di macerie. È una giovane operaia, che vive in un appartamento fatiscente insieme alla figlia ed all’anziana madre. Basta un equivoco per farle perdere il lavoro. Una mattina la cacciano dalla fabbrica, la costringono ad alzarsi dalla macchina per cucire con cui mette insieme piccoli pezzi di tessuto, e la sbattono fuori. Senza pagarla, senza nemmeno consentirle di recuperare le sue cose. Inizia così la parte più difficile del suo viaggio attraverso la miseria: un territorio che già conosce bene, visto che da sempre, giorno per giorno, il pane che porta a casa è fatto degli avanzi del ristorante in cui il suo amico Remzi è impiegato come cameriere: una gavetta che a volte contiene cibo scadente, e all’occorrenza rimane persino vuota. La disoccupazione è una maledizione senza tempo, che, nella Turchia di oggi, morde con la stessa primitiva ferocia dell’epoca degli schiavi: lo sfruttamento non conosce limite, in un terzo mondo sotterraneo in cui la disperazione fornisce manodopera a buon mercato, e materiale umano disposto a tutto pur di racimolare i soldi necessari a sopravvivere. Zeynep è la molecola che vaga attraverso uno spazio vasto e inospitale, nel quale non riesce a trovare pace: può mettere la sua massa e la sua energia al servizio degli altri, ma non esiste luogo in cui lo scambio sia equo, in cui la reazione sia proporzionata all’azione compiuta. La storia raccontata dall’esordiente Erdem Tepegoz è anzitutto un ritratto in movimento, il tracciato seguito da uno sguardo che vede solo lei, la protagonista, e a lei si aggrappa come all’unico punto caldo e vitale in un universo freddo e meccanico, che gira per i fatti propri, macinando efficienza e ingiustizia, e producendo solo scorie da buttare nell’enorme fornace del degrado. Zeynep viene umiliata, accerchiata, infine imprigionata in una logica che le assegna il ruolo dell’oggetto, della merce senza valore intrinseco, il cui prezzo è determinato unicamente in base alla fetta di se stessa di cui si lascia derubare. Quella porzione può essere una parte di dignità, ma tende a diventare sempre più concreta, ad assumere la consistenza della carne. Intorno a lei, del resto, l’esistenza pare interamente definita dal destino della roba, che è spesso luridume e spazzatura, ma che serve ad alimentare l’eterna industria dell’essere: quella che sporca i piatti e le coperte, che provoca il proliferare dei topi e la reificazione del corpo. È sempre materia di seconda mano quella che circola, che si compra e si rivende sulla pubblica via, che viene buttata e cerca di rimettersi in gioco, per essere poi nuovamente usata, strapazzata, piegata a richieste sempre più mortificanti. Zeynep è costantemente in cammino, a tratti fugge, spesso inciampa e cade, ma poi si rialza, benché gravata, ogni volta, da una nuova offesa, che la rende più docile al ricatto, e più incline a un sacrificio che supera ogni immaginazione.
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