Regia di Francesco Rosi vedi scheda film
Tra le democrazie sorte nel mondo occidentale dopo la fine della seconda guerra mondiale, quella italiana è particolarmente interessante nel suo genere, perchè sin dalla sua nascita nasconde una marea di segreti e mezze verità che anche a distanza di decenni è impossibile venirne a capo. La caduta del fascismo avrebbe dovuto fare da cesura netta su certe pratiche istituzionali in merito al nascondere la povere sotto il tappeto, ma con il sorgere della repubblica quelle pratiche non furono mai abbandonate e numerosi risultano i depistaggi e le coperture su certi avvenimenti importanti e decisive per lo sviluppo del nostro paese; Francesco Rosi, dopo l'ottimo esordio La Sfida (1957), che fondeva il realismo con un'analisi della criminalità napoletana, decide di indagare su uno dei primi fatti controversi ed oscuri della nostra repubblica appena sorta, così nel 1962 dopo vari rifiuti e difficoltà, riesce a girare Salvatore Giuliano (1962), figura intrisa di mistero, considerato un combattente per l'indipendenza della Sicilia, un difensore della povera gente contro i ricchi secondo altri e chi invece lo reputava un mero bandito al soldo della mafia. Giuliano è l'escamotage usato da Rosi per fare un'analisi del movimento indipendentista siciliano alla caduta del fascismo ed i nascenti rapporti tra lo stato italiano e la mafia siciliana, partendo nella sua ricerca dal luogo in cui è stato ucciso dalla polizia situato all'interno di un cortile di un edificio nel Luglio del 1950, in realtà subito si capisce che l'unica cosa certa è solo il fatto della sua morte, perchè il rapporto della polizia cozza pesantemente con le testimonianze delle persone che erano nei dintorni.
Chi era Salvatore Giuliano non interessa a Rosi, tanto che la sua figura pur aleggiando in tutta la pellicola praticamente non si vede mai chiaramente e al massimo ci viene concesso un campo lungo e un paio di frasi da parte sua pronunciate in una stanza buia, ma al regista interessa cosa rappresentava, il che sicuramente risulta un approccio di indagine che porta a risvolti sempre più inquietanti mano a mano che si dipana lo sviluppo del film. Girato nei luoghi in cui Giuliano era nato e sviluppato la sua attività criminale tra il 1943 ed il 1950, precisamente a Montelepre e Castelvetrano per dare non solo un'aderenza maggiore alla realtà, ma anche una ricostruzione vivia della realtà in cui il bandito operava, Rosi costruisce un'intricata e complessa architettura di flashback, salti in avanti ed indietro, con un approccio corale nei personaggi e tenendo bene in mente la lezione di Orson Welles in Quarto Potere (1941), in merito alla costruzione in stile puzzle, ma a differenza del regista americano, non solo le figure del film di Rosi non riescono a giungere ad una conclusione soddisfacente, chi perchè non vi crede, chi perchè fa di tutto per occultare, ma alla fine neanche l'oggettività della macchina da presa è in grado di diradare la nebbia che occulta la verità dei fatti con tanto di nome e cognomi, ma quello che può fare è gettare un barlume di luce (isolato a quel tempo, un pò meno oggi) estremamente inquietante sulle istituzioni italiane viste in modo sinistro come un'entità onnipotente in grado di compiere ogni genere di attività illegali pur di preservare sè stesso.
Manca la "Rosebound" in grado di fungere da tassello fondamentale per dare un quadro d'insieme chiaro della situazione, tanto che pure il più razionale dei poteri come quello giudiziario, si ritrova in scacco innanzi ai contropoteri dell'esecutivo e quello legislativo, di cui i carabinieri e l'esercito, più che essere degli strumenti per far scoprire la verità, assumono le sembianze di un vero e proprio braccio armato dell'autorità pronti ad infrangere quelle stesse leggi che avevano giurato di far rispettare, in cambio di favore e di protezione reciproca in caso di scossone contro l'ordine costituito, rappresentato da eventuali forze di cambiamento che nella pellicola sono i membri o i sostenitori del PCI, poveri contadini che reclamavano la terra che coltivavano per i grandi latifondisti e condizioni di lavoro e di vita migliori e per questo da eliminare, non potendolo fare lo Stato italiano in modo "legale", allora sfrutta la mafia, che a sua volta fa andare in prima linea esecutori come Salvatore Giuliano, per soffocare nel sangue ed intimidire in modo minaccioso chi si oppone allo status quo in modo da raggiungere tramite l'illegalità risultati vantaggiosi per le autorità politiche che non potevano sporcarsi direttamente le mani. La parte processuale è indubbiamente più difficile come sottolineato da alcune recensioni, ma risulta un'osticità necessaria perchè il vero cinema di impegno civile di stampo investigativo non deve semplificare la materia narrata per scadere nel romanzesco facilone come in certe opere di Hollywood di "denuncia", tipo Silkwood (1982) o Erin Brookovich (2000), dove praticamente l'80% è composto da roba privata dei protagonisti mentre il restante 20% viene trattato in modo pedante in stile depliant informativo giusto per far vedere la natura "impegnata" del progetto; il vero cinema investigativo di impegno civile di cui Salvatore Giuliano di Rosi ne è l'indubbio fondatore, nella complessità della trattazione e della lunga sequenza processuale, punta a far emergere un mare torbido di depistaggi, intrighi occultamenti e bugie, in cui risulta impossibile per il giudice giungere ad una sentenza che faccia giustizia, perchè sul banco degli imputati non ci dovrebbe essere Salvatore Giuliano, nè il suo braccio destro Gaspare Pisciotta (Frank Wolff), meri esecutori materiali e pesci piccoli manovrati da personalità molto più grandi di loro come i veri mandanti, che in questo caso come in altre situazioni oscure della nostra nazione, sono le istituzioni della nostra repubblica, quindi lo stato italiano.
Aderendo profondamente ai fatti narrati, con un largo uso di comparse ed attori non professionisti presi dai luoghi delle riprese, Rosi ci restituisce una Sicilia vivida nei modi, nelle tradizioni e perfino nel parlato, dove la popolazione dell'isola mostra una profonda ostilità verso il continente (l'Italia) e le autorità della polizia e quelle dell'esercito, questi ultimi spesso composti da persone provenienti dal nord Italia e quindi estranei alla realtà locale, innanzi alla quale si trovano spaesati del tutto, uno straniamento catturato dalla macchina da presa di Rosi che si sofferma lungamente nelle riprese del territorio brullo e ostile dell'interno della Sicilia, fatto di stradine tortuose ed alture inaccessibili, restituitaci con ottima efficacia visiva dalla fotografia di Gianni di Venanzo pur rinunciando a qualsiasi arfizio spettacolare sull'immagine, che viene invece valorizzata nel certosino e laborioso lavoro di depurazione da qualsiasi elemento superfluo. Uscito nel 1962 e vincitore del prestigioso Orso d'Argento a Berlino, ottenendo un grande riscontro ai botteghini nostrani rientrando nella TOP 10 di quell'anno, ad oggi resta un capolavoro assoluto eguagliato nella potenza in ambito di impegno civile solo dalla Battaglia di Algeri di Gillo Pontecorvo (1966) e da Indagine su un Cittadino al di Sopra di Ogni Sospetto di Elio Petri (1971).
Film aggiunto alla playlist dei capolavori : //www.filmtv.it/playlist/703149/capolavori-di-una-vita-al-cinema-tracce-per-una-cineteca-for/#rfr:user-96297
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