Regia di Francesco Rosi vedi scheda film
Comincia con un cadavere disteso in un cortile, mentre i poliziotti verbalizzano e i giornalisti prendono appunti (notando le prime incongruenze); segue un lungo andirivieni fra gli anni del dopoguerra, dai tumulti dei separatisti siciliani alla strage di Portella della Ginestra e all’eliminazione di personaggi ormai diventati troppo scomodi; finisce con una piccola appendice nel 1960 e con un altro cadavere disteso a terra. Devo dire che il cinema di Rosi, e più in generale il cinema italiano di impegno civile, non mi ha mai particolarmente entusiasmato: sincero e generoso quanto si vuole, ma troppo esplicito e tendenzialmente didascalico. Comunque questo film ha semmai il problema opposto: non solo costringe a districarsi con difficoltà tra i diversi piani narrativi, al punto che lo stesso regista sente il bisogno di inserire una voce narrante che fornisca qualche spiegazione, ma è un puzzle i cui pezzi non si ricompongono, perché alla fine ne sappiamo quanto prima. È un’esperienza che continua a sembrarmi frustrante anche dopo una nuova visione, pur riconoscendo che è innegabilmente un film di buon livello: Giuliano, mai inquadrato in primo piano e sempre visto di sfuggita, rimane un enigma inafferrabile; l’illusorio ritorno all’ordine celebrato in un’aula di tribunale viene smentito dai due omicidi che seguono; e noi siamo ancora qui a discutere se lo stato abbia o no trattato con la mafia.
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