Regia di Francesco Rosi vedi scheda film
Nella Sicilia di fine anni ‘40, viene ucciso il temibile Salvatore Giuliano, bandito a capo dell’orda di separatisti che volevano la Trinacria libera. A Castelvetrano, luogo della morte, la versione ufficiale e quella della gente del posto contrasta. Le vicende ricostruiscono la verità dei fatti.
Asciutta ricostruzione dei fatti che hanno segnato un lustro intensissimo del Belpaese, in particolare della Sicilia (dal separatismo, alla strage di Portella della Ginestra, all’assassinio di Giuliano). In uno splendido lungo flashback, che in pratica dura il tempo del film se si escludono brevi richiami al giorno dell’assassinio, il film spiega, come al solito senza peli sulla lingua, le vicende che videro l’intreccio tra mafia, carabinieri e clan di Giuliano. Primo film in cui Rosi sperimenta un certo taglio delle vicende (attori professionisti unitamente a non professionisti, luoghi reali delle vicende, volti della gente locale, ricostruzione fedele attraverso una splendida fotografia); è il preludio a film successivi come “Le mani sulla città”, realizzati con un format che diverrà peculiare e riconoscibile per il cineasta napoletano.
Rosi non inventa nulla. Semplicemente contribuisce con sapienza ad un’evoluzione della specie (cinematografica) italiana, che parte dal Neorealismo e, con tecniche e modalità differenti, porta avanti il discorso intimo del cinema italiano, quello del racconto della realtà del paese. A partire da “Ossessione” di Visconti, il cinema italiano dimostra la necessità di uno scossone per uscire dal “cinema falso” (a detta dello stesso Rosi) ed entrare nella storia di un’Italia raccontata in maniera reale, con il mezzo cinematografico che assurge alla funzione di testimonianza per la riflessione.
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