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Salvatore Giuliano

Regia di Francesco Rosi vedi scheda film

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GIMON 82

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Questo testo contiene anticipazioni sulla trama.

La recensione su Salvatore Giuliano

di GIMON 82
10 stelle

Un cinema assoluto quello che compare nei fotogrammi di "Salvatore Giuliano",pellicola d'un cinema politico passato ma ancora attuale,fondamentale nell'incastrare eventi e intrecci di storie adombrate di sospetti e omerta'.

Un pezzo da cinema utile ed amato da cineasti come Scorsese e Coppola, "vanto" della loro cineteca personale,custodita gelosamente a mo' di reliquia.

Un anno prima di narrare la (sua) Napoli e le malefatte edilizie nello splendido "Le mani sulla citta' " Rosi "scende" giu' in Sicilia.

Terra aspra e assolata,fortino inespugnabile di banditi alla macchia che "Hanno guadagnato la montagna",Rosi affida alla macchina da presa uno splendido scenario fatto di panoramiche imponenti.Un utilizzo ad ampio raggio ritraente un quadro assai  complesso in pieno post-guerra,d'un pezzo d'Italia lacerato e preda d'un indefinito caos amministrativo/politico.

Si comincia da un cortile dove giace un cadavere,una ripresa forte e congruente al filo di tutto il film.L'uomo disteso per terra è Salvatore Giuliano,bandito formatosi con la famigerata "borsa nera",un "eroe" leggendario a capo dell'EVIS,organizzazione paramilitare ed indipendentista per l'autonomia della Sicilia.

Rosi con enorme  maestria sceglie saggiamente di non sedimentare la narrazione,rendendola frammentaria ed intrecciata.Una struttura da flashback che rompe muri e cortine di silenzio,restituendoci un disegno politico farraginoso.Tra documentario "pilotato" e narrazione polemica la regia di Rosi non arretra un passo,avanzando verso una delle pagine piu' controverse della storia italiana.

La Sicilia che vediamo è infatti gia' una roccaforte mafiosa,dove comandano i latifondi terrieri e muoiono innocenti contadini.Emblematico è lo splendido passaggio della strage di "Portella delle Ginestre" nel 1947,dove Rosi utilizza un meraviglioso campo lungo che mostra senza sconti una carneficina gratuita.Nel suo insieme "Salvatore Giuliano" rappresenta il piu' alto esempio d'un cinema politico vigoroso e realista,dove il protagonista è solo una presenza aleatoria,rappresentato come una figura astratta e cristologica nell'insieme.Rosi mostra egregiamente il "corpo" di Giuliano,lo fa riprendendolo come un Cristo del Mantegna,disteso sul tavolo mortuario,con la prefica madre che ne piange la disgrazia.Un immagine da "pietas" cristiana che rende atto ad una vita banditesca "utile" ai piani alti della politica e giustizia.

Perchè Giuliano è solo una pedina di scambio,lui e la sua banda di tagliagole pecorari sono solo lo spicchio d'un gioco molto grande.

Una denuncia urlata sopratutto nella splendida sequenza del tribunale che Rosi affida con stile molto "neorealista" ad attori siculi non professionisti.Visi arcaici e scottati dal sole che urlano la loro innocenza,proclamandosi pedine d'un chiaro disegno politico.

Il passaggio del tribunale è il nucleo centrale del film,danza in concomitanza con la sequenza dei militari che arrestano gli omertosi abitanti del paese di Montelepre.

La regia di Rosi in questi frangenti appare pragmatica e risoluta  mostrandoci le urla accorate di madri e mogli e dei loro mariti ammanettati solo perchè "nati a Montelepre".Un disegno egregio d'un Italia gia' affarista e collusa,risaltante sopratutto nel tribunale dove primeggiano gli unici attori professionisti del film:il giudice Salvo Randone e Frank Wolff come il bandito Gaspare Pisciotta,luogotenente di Giuliano e suo omicida.

La parte finale dell'arringa è degna del miglior cinema documentaristico di sempre,tra neorealismo puro e visione politica globale Rosi scopre il lembo d'una vicenda oscillante tra mafia e "giustizia" corrotta,elementi  sorretti dall'omerta' di una cultura assai primitiva.

Il finale mostra in modo pregevole un omicidio costruito "ad hoc" e fatto passare come regolamento di conti mafioso,Salvatore Giuliano di cui nei 120 minuti abbiamo visto solo l'esanime corpo e sentito la marcata voce sicula non c'è piu',vi è solo il cadavere come testimonianza d'una storia fatta di sole ombre e interessi mafiosi e politici,d'una Sicilia gia' preda della criminalita' organizzata.

Rosi nel finale sceglie di slegare completamente gli eventi,mostrandoli sotto una lente dura e cruda,dotandoli d'una sfacciata verita' giornalistica.

L'ultima ripresa ci porta in un carcere palermitano facendoci "gustare" un velenoso caffè,come quello offerto in cella a Gaspare Pisciotta che spegne ogni barlume veritiero su di una storia dove solo la menzogna regnera' incontrastata sino ad oggi........

 

Un capolavoro assoluto,da cinema didascalico e intelligente,imperdibile a priori nella bellezza delle immagini valorizzate dalla splendida fotografia in b/n di Gianni Di Venanzo e sopratutto nella straordinaria resa registica di Rosi,maestro incontrastato d'un cinema impegnato che purtroppo oggi è introvabile.........

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