Regia di Francesco Rosi vedi scheda film
Questa opera civile è diventato un modello, per molti film ancora oggi insuperato, di cinema impegnato. In primo luogo per la contestualizzazione storico-geografica del bandito e della sua banda, in altre parole Rosi ci porta sulle montagne siciliane nei primi anni del dopoguerra senza essere troppo schematico, aggiornando la lezione del neorealismo con un senso della messa in scena mai lineare e senza didascalismi. Cinema importante dalla sostanza documentaristica che non rinuncia alla forma del cinema. I piani sequenza Viscontiani si alternano alla cronaca con l'unico forte dubbio che rimane sulla strage di portella della ginestra e sugli eventuali mandanti di stato e non.Quello che è chiaro per il nostro è il fatto che il bandito sia stato usato da altri poteri finchè e servito alla causa dei separatisti siciliani, per poi essere liquidato perchè sapeva troppo, stessa fine del suo braccio destro Pisciotta.Da qui la scelta, apparentemente ambigua, motivata dal nostro dal considerare Turiddu come un burattino, da inquadrare sempre da lontano, senza farlo vedere mai in faccia con il suo soprabito bianco, appunto perchè quello che conta è il contesto della Sicilia di quegli anni con i poteri forti che vi operavano. In definitiva il complimento migliore che si può fare al film è quello di dire che Saviano e Garrone non hanno fatto altro che aggiornare il modello del nostro, di questo film e del successivo ( le mani sulla città).
nulla
Il cinema italiano cominca a fare sul serio grazie alla sua capacità di legare la tecnica del cinema con l'urgenza dei fatti, la fiction e la cronaca
Visto che la <<presenza>> del bandito e sullo sfondo, la vera faccia del film è lui, faccia che resta anche lui imbrigliata in un gioco più grande di lui. Figura ricorrente nella storia italiana, di persona che sapeva troppo, e che si porta i suoi "segreti di stato" nella tomba.
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