Regia di Francesco Rosi vedi scheda film
Nonostante il titolo e nonostante la frequenza con cui venga citato nel film, Salvatore Giuliano ha in esso un ruolo 'minore', concretamente funge solamente da pretesto per raccontare una pagina inquietante della storia d'Italia, ovvero quella del secondo dopoguerra in Sicilia. Banditismo (cioè mafia) e politica sono stretti in un rapporto pericoloso e disturbante; l'umore popolare è tutt'altro che festoso, la Sicilia è divisa fra entusiasmo per la ricostruzione e terrore dell'imperversare della delinquenza, mai neppure lontanamente placata dalle forze dell'ordine. E' una lotta impari, quella fra lo Stato e l'onorata società, così come lo è quella fra i carabinieri e Giuliano, latitante e spina nel fianco delle istituzioni. Rosi, eccellente narratore, sceglie il bianco e nero, gli spazi aperti, le scene di massa ed una serie di salti temporali per raccontarci le vicende di una terra sprofondata nell'angoscia; significativamente l'episodio centrale della vicenda (la strage di Portella della Ginestra) viene collocato a metà della pellicola, che si apre con la morte del bandito e si chiude con quella del suo assassino. In sceneggiatura, accanto al regista, troviamo Suso Cecchi D'Amico, Enzo Provenzale e Franco Solinas. 8/10.
Strage di Portella della Ginestra (Palermo), primo maggio 1947: gli uomini del bandito Salvatore Giuliano sparano sulla folla dei lavoratori in festa. Fanatico separatista, il bandito rivendicherà l'eccidio e sarà a sua volta ucciso nel 1950 da un ex scagnozzo, il cugino Gaspare Pisciotta. Il quale verrà fatto fuori in carcere.
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