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Sole a catinelle

Regia di Gennaro Nunziante vedi scheda film

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La recensione su Sole a catinelle

di EightAndHalf
3 stelle

Andare a vedere Sole a catinelle al cinema nel 2013 è un po' come accedere al teatro greco dell'Atene del V-IV secolo a.C., quando Aristofane straparlava degli uomini della sua società criticando e graffiando saggiamente e rompendo la quarta parete. Questo non per paragonare in termini qualitativi il tarchiato Checco Zalone e il mitico Aristofane - seppure abbiano numerosi punti in comune, con le dovute contestualizzazioni -, ma per raccontare l'esperienza di trovarsi immersi nella massa che fruisce indiscriminatamente di un film che anche senza essere epocale strappa grasse risate al pubblico. Un senso di condivisione parte da una sala cinematografica piena, una condivisione reciproca nel visionare le avventure malconce e (im)prevedibili di Checco e del figlioletto, che partono alla volta di una vacanza in Molise perché 'c'è crisi', ma finiscono su uno yacht e Checco addirittura in massoneria. L'ironia è leggera, se ne esce anche con battute intelligenti fra una volgarità e l'altra (aumentata rispetto ai due film precedenti, sempre "diretti" da Gennaro Nunziante), in particolar modo quando deve prendere in esame la nostra Italia in cui fare autoironia è sempre più pericoloso e per farla ci vuole un certo savoir faire non da tutti; le intenzioni sono nobilissime, esprimere con la risata la volontà di diffondere un po' di ottimismo (populista!) a italiani che si lasciano andare, che tra una manifestazione e l'altra si scordano della famiglia e dei suoi affetti; l'effetto finale è discontinuo, va da sagaci sequenze divertenti proprio per chi vuole lasciarsi andare fino a scene che fanno sorridere a denti stretti, sia perché di fronte a Sole a catinelle certo non ci si sganascia, sia perché certe verità dietro le frasi demenziali di Luca Medici (in arte Checco) pulsano di cocente attualità ma vengono smorzate alla luce di un ottimismo spregiudicato. La parole 'ottimismo' torna, come qui, spesso, nella sceneggiatura del terzo film di Zalone/Nunziante, perché corrisponde alla voglia di salvaguardare l'Italia da un disastro affettivo ancor prima che da un disastro finanziario: così il viaggio da povero diventa ricco, lo stesso Checco da povero diventa ricco, giustificando, nella sua mente, un lieto fine che era prevedibile, e certo non ci innervosisce nemmeno perché non se ne poteva fare a meno. Anzi, può anche essere segno di una certa coerenza filmica, che va di pari passo all'altro importante elemento del film, cioè che non pesa troppo la divisione in gag, che non diventano mai sketch ma che possono anche inserirsi in maniera equilibrata in una commedia altrimenti ancora più sgangherata. Ma i problemi rimangono.
E' chiaro che Sole a catinelle si salverebbe dietro la scorza di commedia italiana anche più seria del solito, nonostante le famose freddure (il titolo è improponibile), e di film che fa ridere anche sulle cose più importanti, dimostrando una saggia tecnica del rovesciamento (ad essere presi per i fondelli sono un po' il femminismo, un po' l'eutanasia, un po' il cinema d'autore, un po' l'infanzia che però d'altronde rimane intoccabile). Ma ci sono altri forti elementi che rendono il terzo film di Zalone il peggiore della trilogia, poco più in basso di Cado dalle nubi e più basso di una stellina di Che bella giornata. I continui riferimenti alla nostra critica contingenza storica dimezzano le potenzialità comiche; la recitazione è grossolana e non crea sempre la giusta atmosfera d'ilarità contagiosa; tutto lascia un buon sapore in bocca nonostante i sottotesti, cosa che con il secondo film era ammortizzata da altre numerose demolizioni sociali, quali la Chiesa e il terrorismo. Se da un lato l'ottimismo piove coerentemente a catinelle nella sempre più solare commedia di Checco Zalone, allo stesso tempo le parole girano a vuoto, non hanno un momento in cui arrivino direttamente allo spettatore, tanto che sembra di osservare le parole di un qualunque cabarettista di Zelig che tira fuori certi luoghi comuni. Il problema decisivo è la ripetizione, Zalone non si rimodernizza né crea, ma si limita a ricreare, a spiattellare l'intero intento commerciale della sua pellicola nei sorrisi convinti della gente in platea che non capisce di essere presa per i fondelli, non solo da certe superficialità assortite, ma anche direttamente dagli obbiettivi satirici di Checco Zalone, che non si decide mai se dare la colpa anche agli italiani creduloni. Il risultato è, come già detto, altalenante, sconclusionato, assai meno divertente delle pellicole precedenti, un po' più volgare del solito, fin troppo convinto dell'onda del successo.
Si esce dal cinema come da una bolgia di ateniesi convinti di aver trovato un'alternativa alla catarsi tragica della vita quotidiana, e che si sono cibati di una parodia inoffensiva diretta a loro e anche abbastanza contro di loro, alla luce di una sorta di populismo modaiolo che parla parla ma entra da un orecchio ed esce da un altro. Certo, però, finché non è un cinepanettone dobbiamo essere tutti pronti a inchinarci a questo mito che sarà una scintilla decennale come sono stati Aldo, Giovanni e Giacomo e che presto sarà in calare come già sono Ficarra & Picone. Non c'è da deprimersi, comunque, l'Italia dai film ripetitivi e finti impegnati (In viaggio con papà, possibile referente di Sole a catinelle nel passato) esiste da sempre, e ha sfornato anche molto di peggio.

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