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Salvate la tigre

Regia di John G. Avildsen vedi scheda film

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La recensione su Salvate la tigre

di alan smithee
7 stelle

Primi anni ’70: il sogno americano sembra essersi realizzato in capo ad un impresario cinquantenne, titolare di un’azienda di alta moda di Los Angeleles: lo vediamo alzarsi dal letto una mattina come tante, nella sua villa signorile con giardino sontuoso, servito per la colazione da una cameriera latinoamericana, parlare del più e del meno con una moglie annoiata e fredda, stancamente fedele ma distante, accennare della figlia, ora al college, e predisporsi per una giornata come tante, forse più impegnativa del solito a causa di una sfilata per la presentazione della nuova stagione.

La giornata tipo di un capo, del titolare di un’attività apparentemente fiorente.

Ma a guardar bene e da vicino non è tutto oro quel che luccica: “solo a tirarmi giù dal letto mi costa 200 dollari”, si auto-diagnostica l’uomo, che, una volta raggiunto l’ufficio, dopo un incontro dai risvolti quasi piccanti con una avvenente giovane autostoppista, viene immerso nel vortice di tutti gli impegni quotidiani: la sfilata decisiva, i soldi che mancano, la soluzione maldestra ed illegale che gli sembra l’unica soluzione per sopravvivere senza dover chiudere i battenti. Al suo fianco, come un grillo parlante coscienzioso, e dunque inascoltato, un fedele ragioniere che cerca di dissuadere il suo capo dalle intenzioni truffaldine; un vecchio abile sarto snobbato dalle nuove leve, frivole e capaci solo a scopiazzare (“beh che c’è di strano? Oggi tutti copiano!”), ma non dal titolare, che ne ha ben presente l’immenso valore aggiunto.

Una tranquilla, tragicomica giornata di lavoro come tante, diviene l’occasione per studiare, osservare comportamenti ed attitudini di un uomo che non può non fare un bilancio della propria mediocre esistenza: e proprio nel momento di maggiore difficoltà, quando inconvenienti anche gravi non fanno che funestare una giornata partita come tante altre e persino meglio (l’amico compratore che pretende il regalino sessuale rischiando l’infarto), i ricordi di un tragico ed eroico passato affiorano nella coscienza.

E la mente annebbiata del nostro imprenditore, impegnato nel discorso di presentazione della nuova collezione di prèt-à-porter, torna nel trentennio precedente, sulla spiaggia sabbiosa di Anzio, durante le fasi cruciali del drammatico sbarco da alleati per la liberazione dell’Italia dall’invasione tedesca.

Quella sabbia fine intrisa di sangue, la stessa sopra la quale oggi si adagiano folle di donne in bikini, e dinanzi a sé, anziché i volti dei soliti acquirenti, i visi pallidi e spettrali dei commilitoni morti durante quel sanguinoso conflitto.

Cosa siamo diventati dopo tutti i sacrifici spesi? Solo uomini cinici disposti a dar fuoco al proprio stabile per truffare l’assicurazione e tenere in piedi una baracca scricchiolante e poter tornare a casa nella propria villa opulenta ed inutilmente maestosa, dinanzi a familiari freddi o completamente assenti che si preoccupano ogni qualvolta ci si sforzi per far affiorare il lato umano ed affettuoso che si ostina a vivere all’interno del nostro corpo.

Per la regia di un giovane John G. Avildsen, che divenne famoso poco dopo con una manciata di film successivi, (Rocky e Karate Kid + i numerosi seguiti di entrambi su tutti, ma anche I vicini di casa con Belushi e La formula con Marlon Brando), SALVATE LA TIGRE (titolo che si riferisce ad un piccolo episodio del film in cui il protagonista decide di versare un obolo per la difesa del meraviglioso animale in estinzione, quasi a liberarsi la coscienza dopo una giornata trascorsa a progettare crimini assicurativi per salvare la baracca) è un one-man-show che colpisce a fondo le coscienza, e che fornisce nel contempo a Jack Lemmon - strepitoso, incontenibile, inimitabile per la capacità di saper fondere il lato comico con quello drammatico in un semplice battito di ciglio o nel cambiamento repentino di un’espressione - di fornirci una delle sue migliori perfomances e comunque quella finalmente e doverosamente premiata con l’ambita statuetta hollywoodiana, dopo illustri precedenti non andati a segno.

 

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