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Salto nel buio

Regia di Joe Dante vedi scheda film

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Questo testo contiene anticipazioni sulla trama.

La recensione su Salto nel buio

di omero sala
5 stelle

 

locandina

Salto nel buio (1987): locandina

 

Chi è nato verso la metà degli anni  ’80 o poco dopo (ma anche chi ha un figlio nato in quel periodo) conosce questo film, al pari di Robocop (sempre dell’87) e Terminator (dell’84). 

Non si tratta propriamente di un capolavoro, ma sicuramente è un film divertente, molto più divertente del film analogo che l’ha preceduto Viaggio allucinante di Richard Fleiseher del 1966, dove si racconta di una navicella miniaturizzata e iniettata nelle arterie di un uomo-cavia; e - ovviamente - molto più buffo e giocoso anche della piacevole contemporanea serie educativa a disegni animati Siamo fatti così, prodotta in Francia e approdata su Italia 1 passando dal Canton Ticino. 

En passant, ricordo che la sigla di Siamo fatti così era cantata da Cristina D’Avena, la amatissima signora delle sigle dei cartoons degli anni ’80 (Puffi, Kiss me Licia), che aveva cominciato la sua carriera nello Zecchino d’oro dove, nel 1968, cantò il Valzer del moscerino, non avendo compiuto ancora i 4 anni di età.

È necessario inoltre ricordare qui, per i giusti riconoscimenti, che Viaggio allucinante, il famoso romanzo di Asimov, non ha ispirato il film di Fleiseher di cui sopra, ma - viceversa - è stato tratto dalla sceneggiatura del film basata sul racconto di due meno famosi scrittori statunitensi che sono Otto Klement e Jerome Bixby. 

 

Trama

La storia è presto raccontata. 

Alcuni scienziati vogliono iniettare un’astronave miniaturizzata nel corpo di un coniglio. 

Il pilota scelto per manovrare la navicella è un certo Tuck Pendleton (interpretato da Dennis Quaid, lo stesso che appare ne Lo Squalo 3): è un ex aviatore della marina, allontanato dal lavoro per via della sua scarsa disciplina ma soprattutto per la sua passione per il whisky. 

Per una serie di imprevisti la siringa contenente la navicella viene sparata nei glutei di uno strampalato commesso di supermercato, il nevrotico Jack Putter (interpretato da un comico televisivo, Martin Short, che si muove ipercinetico come nei film slapstick e fa le facce e lancia occhiatacce come nei film muti), 

Fra i protagonisti c’è anche Lydia Maxwell (una giovanissima Meg Ryan), una giornalista ex fidanzata del pilota, la quale - coinvolta nelle disavventure - tenterà di salvare il suo ex ma farà innamorare Jack, con esilaranti conseguenze, considerato che il pilota che naviga dentro il corpo del commesso è in contatto con lui, in continua connessione audio, e lo controlla, ci litiga, gli dà suggerimenti, istruzioni, direttive. 

Lydia e Jack inseguono i criminali, quelli che hanno provocato l'iniezione di Tuck nel corpo del commesso invece che nel coniglio designato e sono in possesso del microchip che consente di far tornare alle dimensioni normali la navicella col suo pilota. I criminali a loro volta inseguono Jack che ospita Tuck con la sua navicella perché vogliono recuperare l’altro microchip, quello che rimpicciolisce. Tutti hanno 72 ore di tempo, che è la durata della scorta di ossigeno della micronavicella.

 

Joe Dante, lo scanzonato e irriverente regista, allievo di Roger Corman, è l’autore anche dello strampalato e originalissimo Gremlins del 1984 (in cui c’è lo zampino di Spielberg, che è produttore anche di Salto nel buio).

Il film è esilarante (ma anche cattivello), pieno di inseguimenti, conflitti a fuoco, contrasti d’amore, spionaggio alla 007, ipocondrie, battaglie spaziali (pallino del produttore), tempeste gastriche, scene alla Gulliver, metafore psicanalitiche (dentro/fuori).  

Dura due ore, ma il ritmo non ha cali e ripiegamenti.

A suo modo è roba da nuova frontiera, che ben rappresenta il disincanto e la voglia di cambiamenti della presidenza Kennedy, giocando sul concetto di spazio (così come un altro film “mitico” per la generazione degli anni ’80 è stato Ritorno al futuro, di un anno dopo, un film che esplora gioiosamente sul concetto di tempo). 

 

Joe Dante, un regista molto eclettico e fuori dal coro, riesce a resistere alle tendenze del tempo snobbando le tentazioni pseudoscientifiche che lo avrebbero portato a fare un documentarietto anatomico (ma le riprese dentro il corpo e gli effetti speciali utilizzati sono straordinari) e dribblando gli inviti, pressanti in quegli anni di guerra fredda, a cucire un panphlet antisovietico.

Originale poi risulta il modo con cui chiude il film “aprendolo”, paradossalmente: i tre personaggi principali, dopo le disavventure trascorse, appaiono più maturi di come li abbiamo conosciuti all’inizio del film, sono pronti alla vita, imboccano i loro percorsi interrotti, condizionati e "raddrizzati" dagli avvenimenti e cominciano a vivere con maggior consapevolezza. 

A modo suo Salto nel buio è un film di maturazione, vagamente edificante, quasi di formazione, considerato il successo riscosso presso i ragazzini e gli adolescenti degli anni ’90.

 

 

Salto nel buio | Il cinefilo insonne

 

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