Regia di Anthony Silverston vedi scheda film
Come Il re leone ma senza la pretesa - né i presupposti - per ambire al trono dell’animazione: l’ultimo sforzo del giovane studio Triggerfish punta sulle atmosfere sudafricane ammantate di arcaismo magico, raccontando la storia del cucciolo di zebra Khumba, orfano di madre e ghettizzato dai suoi simili perché “strisciato” a metà. Come in ogni comunità raccolta attorno a una pozzanghera, la superstizione serra gli occhi agli “adulti”, convinti che la siccità sia causata dall’anomalia fisica del nuovo arrivato. Sul filo di una leggenda narrata dalla mamma in punto di morte, Khumba s’incammina quindi alla ricerca di una fonte d’acqua inesauribile, incontrando variegata compagnia che ricalca senza particolare slancio immaginifico il parterre dei comprimari già disegnati dalle major. La storyline derivativa non è un dramma - il rituale messaggio d’accettazione è diretto ai più piccoli, e la doverosa denuncia dell’Apartheid è chiara come una zebra bianca -, ma la sceneggiatura non tiene il passo del viaggio iniziatico, procedendo per accumulo di caratteri sbiaditi stagliati su un paesaggio vivido, sorprendente non soltanto per bambini. Arido eppur pregno di possibilità visive ammalianti, il Grande Karoo schiude incantevoli cieli neri sul protagonista puntellandoli di stelle che si uniscono a formare sagome mitiche (Il re leone, appunto). Purtroppo a differenza di Zambezia, primo lavoro firmato Triggerfish e sempre più coinvolgente per fulgore scenografico che per invenzione narrativa, qui il movimento dell’eroe è una corsa aritmica.
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