Regia di Olivier Assayas vedi scheda film
Lo specchio della vita.
Il cinema e, prima ancora, il teatro sono forme d’arte che, rappresentando la realtà, riflettono la natura dell’essere umano e delle relazioni umane, le complesse dinamiche che le accompagnano, le implicazioni psicologiche che le governano.
Il tempo che passa, il gap generazionale, la giovinezza e l’età matura finiscono per costituire il fattore fondamentale per leggere, comprendere e restituire il senso di qualcosa, di qualunque cosa. Della vita stessa.
Un oggetto qualsiasi, se osservato da differenti prospettive, offre visioni, significati e interpretazioni diverse.
Un testo teatrale, per esempio, approcciato contemporaneamente da una ragazza ed una donna col doppio dei suoi anni può far nascere una serie di riflessioni fortemente personali, anche diametralmente opposte, determinate principalmente dall’età della vita che stanno rispettivamente attraversando.
Ecco, allora, il cinema come il teatro farsi specchio del nostro vissuto quando questo è pregno di quelle caratteristiche tali da farci ricordare e comprendere in maniera cristallina, scarna e perciò diretta, inequivocabile, quanto l’arte e la vita costituiscano un binomio indissolubile, quanto la prima si compenetri nella seconda e viceversa.
Quanto esse siano la metà di un corpo unico. Concetto-verità che ci appartiene nel profondo ma che spesso tendiamo a dimenticare, e quando capita finiamo per sentirci come naufraghi alla deriva, disorientati, inquieti, in conflitto con noi stessi.
Un testo nato per il teatro o una sceneggiatura non fanno che puntare un riflettore, spesso salvifico, sulle proprie trasformazioni interiori che vanno di pari passo con l’incedere dell’età.
Sono come una lente d’ingrandimento, un evidenziatore, una sottolineatura, capaci di parlare per noi e di noi, di individuare gli inspiegabili tormenti esistenziali ai quali non riusciamo a dare un nome.
La riluttanza e perfino l’odio da parte di un’attrice affermata verso un personaggio che è stata chiamata ad interpretare, perfettamente rispondente alla sua età non più di giovine ed ‘ebete’ donzella, nasconde o forse più semplicemente rivela il suo stato interiore, la sua condizione di donna matura che fatica ad accettare il tempo che passa;
questo nuovo lavoro non farà altro che renderla consapevole della personale lotta già intrapresa contro il tempo a un livello inconscio;
sarà una sorta di rivelazione, la resa dei conti impossibile da eludere, l’ineluttabile giro di boa verso una nuova, differente stagione della vita che non necessariamente deve trasformarsi in un inesorabile mesto e disperato viale del tramonto, professionale e privato.
Scambiare quotidianamente impressioni sul testo teatrale con cui l’attrice, arrivata ai suoi primi quarant’anni, calcherà nuovamente le scene --lo stesso testo che vent’anni prima ne decretò il debutto in palcoscenico, però, nel ruolo del personaggio più giovane-- assieme alla sua fresca e avvenente assistente, sarà come intraprendere un percorso psicoanalitico, duro, doloroso, interminabile eppure efficace. Per entrambe.
Alla fine ognuna arriverà ad una svolta, ognuna ne trarrà un personale insegnamento.
Reinventarsi, oppure innestare nell’oggi quei germogli più fecondi del proprio passato.
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