Regia di Olivier Assayas vedi scheda film
FESTIVAL DI CANNES 2014 – CONCORSO
FESTIVAL DEL FILM DI LOCARNO 2014 – PIAZZA GRANDE
Un nuovo “Eva contro Eva”, riveduto, aggiornato e corretto, è quasi impossibile non riconoscere dietro il doppio filo conduttore che si nasconde ed interseca nella vicenda dell’ultima fatica cinematografica di Olivier Assayas: una storia che lega due (o tre) donne ad una pièce teatrale nota e datata che si vuole riproporre al pubblico. E che si rispecchia in modo inquietante nella vita della protagonista: Maria Enders, oramai un’attrice di fama anche hollywoodiana, cinquantenne matura e celebrata, che esordì ventenne col ruolo della giovane ragazza in un dramma teatrale di un noto drammaturgo, lo stesso che deve attribuirle ora un prestigioso riconoscimento a Zurigo, ma che, per una drammatica ironia della sorte, muore proprio durante il viaggio che l’attrice intraprende in treno, assieme alla efficiente e premurosa assistente, nel bel mezzo delle Alpi svizzere per andare a ritirarlo.
Come se non bastasse, come per una insistita ossessione del destino, a Maria viene proposto (un po’ come, se non ricordo male, successe realmente a Gina Lollobrigida ne “La Romana”, prima film di Zampa del ’54 e poi miniserie televisiva di Patroni Griffi dell’88, in cui l’attrice ebbe modo di ricoprire entrambi i ruoli di madre e figlia in due ben distinti archi temporali)) di tornare a calcare il palco con la sua opera teatrale degli esordi, andando a ricoprire questa volta il ruolo della donna matura, già oggetto di antiche cupe storie che condizionarono l’esistenza dell’attrice al tempo chiamata ad interpretarla.
Una circostanza che contribuisce a intensificare quel sentimento di morte ed inquietudine che coglie l’attrice dopo la notizia della morte del drammaturgo; una incertezza ed insicurezza che si acuiscono alla notizia che il suo ruolo di gioventù verrà affidato alla diva emergente e oggetto di culto del gossip Jo-Ann Ellis, il cui atteggiamento di cortese ammirazione nei confronti della diva più matura cela ben altri propositi e sentimenti.
Sils Maria, amena località montana svizzera dell’Engadina che diviene teatro di un intrigante doppio gioco fatto di esperienze di vita recitate o anelate, ma mai vissute realmente: Maria che prova una attrazione sempre più ingombrante per la efficiente ed avvenente segretaria, che rende partecipe della propria preparazione alla parte la collaboratrice, in un gioco di dialoghi che tende, non senza un pizzico di sadismo, a tradire o forviare lo spettatore. A questo doppio gioco si concatena dunque quello della pièce teatrale, studiata con cura, e quello filtrato e divenuto poi definitivo, con la divetta celebre e scaltra che cercherà di imporre la sua immagine straripante di flash su quella, ormai meno appariscente, della celebre diva avviata inesorabilmente ad una fine di carriera.
Il pericolo che la natura folgorante e paradisiaca della montagna svizzera edulcorasse e rendesse troppo aulico e forzato il percorso di consapevolezza di uno scorrere esistenziale che non fa sconti nemmeno alle celebrità più acclamate, si infrange e viene scongiurato grazie all’abilità di Assayas, che è un regista maturo e assai versatile, e sottile indagatore delle inquietudini umane in film dalla trama e dalle situazioni assolutamente eterogenee e lontane le une dalle altre.
Tutte qualità che consentono al cineasta di cogliere dalla montagna i suoi aspetti più realistici e ruvidi, sinceri e genuini, ove la bellezza del paesaggio costituisce solamente un contorno possibile che resta un sottofondo necessario, ma plausibile, ed in cui il maestoso panorama visto dall’alto, esplicitato certo, ma mai esaltato, anzi dato quasi per scontato anche con il suo anomalo gioco di nuvole a forma di serpentina - localmente oggetto folkloristico che sta alla base di un superfluo gioco di attrazione turistica come tanti altri - finisce qui solo per divenire un sintomo pertinente di un malessere che si vede in lontananza.
Lo spettro di un disagio che sta per avvolgere i cieli vulnerabili delle nostre vite turbate, orfane di una serenità che è sempre più un ricordo lontano, specie quando non si trova la forza o il coraggio di esprimere, per come sono realmente - e come accade a Maria Enders – famosa certo, ma sempre più sola - i propri sentimenti e le proprie attitudini.
Per Juliette Binoche, splendida e fiera, per quanto dimessa, anche quando lo sfiorire della giovinezza la coglie, inevitabilmente come tutti, ma tutt'altro che impreparata, qui ed in altre prove in cui gioca ad essere se stessa senza veli e cerette, (Camille Claudel di Dumont ne è un altro concreto ed appropriato esempio), Sils Maria costituisce la prova definitiva - ce ne fosse stato bisogno - di una grandezza e di una maturità da interprete ideale per ogni situazione, sfida e regista.
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