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Transcendence

Regia di Wally Pfister vedi scheda film

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Enrique

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La recensione su Transcendence

di Enrique
4 stelle

Meglio che sia l’uomo al servizio della tecnica o la tecnica al servizio dell’uomo?

Meglio l’umanizzazione della macchina (e della sua sconfinata potenza di calcolo) o l’implementazione – ai limiti della trascendenza (ergo del delirio di onnipotenza) - dell’essere umano?

Questo è il dilemma.

 

Un dilemma percepito da tempo quasi immemore, ovvero prima ancora che finanche il cinema cominciasse a puntare i riflettori sulla commistione fra le ambizioni dell’uomo e le potenzialità della tecnologia, all’alba dell’ultima, inarrestabile rivoluzione industriale (che non conosce soluzione di continuità con quella digitale), ma di cui il cinema ha dato un risalto che difficilmente altri mass media sono stati, sono e saranno in grado di fare.

Una commistione la cui conflittualità esiziale è stata sviscerata in film che sono vere e proprie pietre miliari; (giusto per rimanere ai titoli più celebri ed a me noti) da 2001: Odissea nello spazio in poi (passando per le saghe di Terminator e Matrix), ma di cui si rinviene traccia finanche in opere interessate ad enfatizzare il processo di umanizzazione di cui sopra (A.I. Intelligenza artificiale ed il nostrano Nirvana) o comunque disposte ad ospitare vuoi rivoltose incursioni da fanatismo new age (Contact e L' esercito delle 12 scimmie), vuoi sviluppi apocalittici (nei rispettivi finali) di primordiale memoria (Fuga da Los Angeles, senza dimenticare il recentissimo Lucy, di cui fra breve).

 

Tutto ciò come premessa a fondamento (ampiamente conosciuto, ma senz’altro sempre affascinante) di un soggetto (quello del film in commento) sul quale è stata edifcata un’opera dalle potenzialità non elevatissime (ma comunque sempre vivide), ma che, alla prova dei fatti, si rivela un gigante dai piedi d’argilla; un’opera povera, dal fiato corto; sostanzialmente deludente.

Ad esempio - anche solo volendo instaurare un confronto con l’ultimo (oramai per poco) film di Besson (con il quale il paragone mi sorge ancora più immediato se non altro perché ho ancora ben nitide, nella memoria, le sue forti immagini) - per la mancanza di un protagonista altrettanto carismatico e magnetico (come aveva dimostrato di essere la Lucy Miller interpretata da S. Johansson), oltre che per il peso (inesistente nel film in commento) di quel crescendo di carica adrenalinica di azione, suspense e ritmo, invero fondamentali allorquando sia necessario inoculare dosi massicce di sospensione dell’incredulità (come quando si parla di AI, e dei suoi imprevedibili sviluppi su scala planetaria con la pretesa di verosimiglianza degna dei migliori cervelloni del MIT).  

“Estremamente” deludente, a dirla tutta, nella prima mezz’ora, quando la narrazione viene scandita da un patchwork di immagini asettiche, impersonali, mal amalgamate fra loro e ridotte ad un nugolo descrittivo di azioni meccaniche, svuotate di credibilità e pathos. “Solo complessivamente” poco convincente in seguito, quando le impurità di sceneggiatura, regia e montaggio lasciano il posto al cuore della questione; il dilemma di cui all’inizio ed il conflitto fra gli opposti.

A dare il colpo di grazia - contraddicendo le premesse e le inequivoche allusioni disseminate in precedenza - ci pensa, nondimeno, la rasserenante ultima sequenza del film.

Avanti un altro.

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