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Transcendence

Regia di Wally Pfister vedi scheda film

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La recensione su Transcendence

di ROTOTOM
3 stelle

La fantascienza mette in relazione l’uomo con i dubbi etici e morali derivanti dall’uso estremo dello strumento tecnologico.  Di epoca in epoca, come tutti i film di genere, le tensioni della realtà storica trovano nel cinema la loro catarsi e così nel cinema di fantascienza il futuro sovente accoglie le conseguenze sociali dell’abuso di una tecnologia che mostra le proprie potenzialità già nel presente. Negli anni ‘50 durante la Guerra Fredda, la fantascienza era tutta rivolta verso il “pianeta rosso”, amorale e senza dio. I seventies dei grandi dilemmi morali sono terreno fertile per la fantascienza filosofica , poi nel decennio successivo la fantascienza dei grandi temi si fonde con il grande spettacolo popolare dominato dagli effetti speciali di cui Blade Runner è il vertice. Film che innesta il grande dubbio dell’anima nel corpo sintetico che continuerà sotto altre varianti per tutta la fantascienza a venire.   Nei ‘90 la pecora Dolly prima della prematura scomparsa apre la strada all’etica zoppicante della  clonazione. La realtà virtuale invece è qualcosa che si aggira nei pc del mondo dal terzo millennio in poi.  Cos’è reale? E’ l’oggettività del mondo o la sua percezione? Ma l’oggettività non è quella percepita come tale? Chi lo sa?

 

 In questo triste e buio medioevo moderno l’uomo, sempre più solo ficcato dentro i social network , abbandonato il corpo nella mutanda attaccaticcia dopo estenuanti sessioni domestiche di youporn, si rende conto che l’amore è la cosa più importante che ci sia.  L’anima torna prepotentemente a reclamare un contenitore etico in barba alla totale libertà virtuale di Neo che modifica la matrice del suo mondo come un dio.  L’uomo si confronta così con l’intelligenza artificiale, una clonazione di un sé ideale che possa essere condiviso da una massa di singoli in cerca di pace.

E’ curioso come a questo proposito il cinema americano abbia proposto il film più profondo e intelligente degli ultimi anni, Her, è quasi contemporaneamente il più stupido e banale: Transcendence.

Ognuno figlio riconoscibile delle produzioni che li hanno ideati. Spike Jonze , Oscar alla sceneggiatura, indipendente, scrittore raffinato, regista visionario ed elegante. Una concreta visualizzazione di una distopia possibile.
Wally Pfister, ex collaboratore di Cristopher Nolan, ex direttore della fotografia passato dietro la macchina da presa a dirigere un manipolo di attoroni avvezzi alle faccette, in una storia che più mainstream non si può , scritta con il pennarello grasso, recitato soprattutto da un divo che senza cerone in faccia fa la fine dei Kiss negli anni 70 quando andavano a gnocca in discoteca e nessuno li riconosceva.

 

Per trasformare Johnny Depp in valente scienziato basta spettinarlo, mettergli un paio di occhiali dalla montatura pesante e dirgli di fare l’espressione corrucciata. Quella che propone mentre sta per rifiutare la parte quando nel copione gli viene imposto di dire che Rebecca Hall è la donna più bella del mondo.
Poi dopo un febbrile incontro tra gli avvocati di parte, può finalmente esibirsi nell’espressione vagamente soddisfatta del divo che ha ricevuto il bonifico per togliersi qualsiasi dubbio.
In effetti, vista la contabile del bonifico, Rebecca  è veramente un amore di donnino.

Attorno al divo arrancano un Morgan Freeman sempre più fuori fuoco nella caratterizzazione dei suoi personaggi, Paul Bettany nella parte dello scienziato sfigato e una particina buttata là di Cillian Murphy  che potrebbe essere altrove e nessuno se ne accorgerebbe.  C’è Kate Mara, sorella di Rooney, che per fare l’ambigua guarda tutti di tre quarti.

Un banalismo di riflusso inghiotte questo bignami di luoghi comuni della sci-fi 3.0. La grande sfida del prossimo futuro è avere le macchine pensanti  così che l’uomo possa ripulirsi dell’ultimo fastidioso orpello, la capacità di pensiero, prima di entrare in un meritatissimo letargo catatonico. Paradossalmente la prova sta proprio nel film che ne denuncia le minacce.  La catatonia ha già raggiunto il cast di Transcendence.

Ecco. Chi controlla la rete è dio, dice l’assunto. Ma un dio buono, diobono, si arruffa a declamare il divo arrancante in questa Grande Stoltezza. La storia ciancia di ecologismo, controllismo, buonismo, divismo. L’amore è cosa buona e giusta ma il potere, eh il potere corrompe anche l’animo più puro.


Se la fantascienza  non ha una propria sintassi ma mutua quella degli altri generi qui si fanno le cose in grande. La fantascienza psicologica sposa il complotto hacker con spunti di terrorismo ecologista mentre Johnny si trasforma in un novello Max Headroom senziente capace di miracoli per creare un esercito di villici dannati che si muovono come zombi. Complimenti.

Questa storia non si tiene. Si slabbra. I dialoghi sono quelli esplicativi del più didascalico cinema americano. Non riuscendo ad essere evocativo il regista taglia corto e fa dire ai personaggi quello che succede. Siccome quello che succede è francamente incomprensibile, allora libera i cani degli effetti speciali per fare a brandelli l’ultimo baluardo di verosimiglianza.  Il professor Johnny Depp vuole diventare dio, in buona sostanza. Ovvero vuole sostituire il suo razionale ateismo con un paracul(t)o che nasce dall’ intelligenza artificiale nella quale la sua mente è stata uplodata (con tanto di barretta di caricamento), usando le nanotecnologie per compiere miracoli a vista e rimuovere il mistero della fede col palesare della prova.

 

Si frulla Matrix, Max Headroom, Romero e Il villaggio dei dannati, Frankenstein, la bella e la bestia, l’etica e la morale disciolti nel moralismo, il thriller e l’annoso problema dell’autocoscienza.  Risolto in metà film il dubbio etico, di cui sopra ( si accidenti,  essere dio non è giusto) in acrobatici salti di sceneggiatura, la necessità di riempire l’altra metà impone di virare sull’action catastrofico che poi si risolve con l’amore.

Amen. La fine arriva a lenire l’estenuante nulla e nel nulla rimangono tutte le confuse intenzioni di questo film per anime semplici. Con uno spinotto nel cervello si scarica la mente su un hard disk senziente. Ma senza la capacità visionaria cyberpunk finisce che nel film ci credono tutti per contratto ma purtroppo, peccato mortale, la messa in scena è talmente buttata  lì che quello che non ci crede proprio è il pagante che sarebbe lì proprio per credere, smantellando nell’imperizia presuntuosa  l’anima propria del cinema: la sospensione dell’incredulità. Pessimo.

 

 

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