Regia di Rob Reiner vedi scheda film
Da tempo, Rob Reiner ha terminato le sue cartucce migliori - tanto che di recente di lui si ricorda principalmente l’apparizione da interprete in The wolf of Wall Street – e pur continuando a sfornare un nutrito numero di pellicole, i suoi lavori rientrano sovente in ambiti edulcorati, con qualche spunto felice mescolato a traiettorie risapute e anche a qualche caduta di tono.
And so it goes, titolo originale dal tono esistenzialista più appropriato di quello (banale) scelto in Italia, rientra a pieno titolo in questa categoria di film.
Quando sta cercando di vendere la casa di una vita per chiudere per sempre i conti con il passato, l’egoista Oren (Michael Douglas) riceve in dote da suo figlio, che non vedeva da dieci anni, la nipotina mai conosciuta.
Grazie a Leah (Diane Keaton), sua vicina di casa, prova a districarsi in questa nuova situazione mentre il suo incancrenito cuore di uomo dai modi insopportabili per chiunque, ricomincia a battere.
La vecchiaia porta con sé cicatrici, costruisce corazze di dolore ed errori scalfibili solo con tanta pazienza, che per contro riceve all’inizio indifferenza, qualora non proprio astio, ma anche il vicino di casa egocentrico e insensibile, esteriormente un po’ (tanto) carogna, a forza di introiettare stimoli può regalare inattesi squarci di bontà e condivisione.
Mai così vicini presenta un’evoluzione, quella di Oren, che più comune non potrebbe essere, sorretta da uno smargiasso Michael Douglas che con Diane Keaton forma una coppia ben assortita, arricchita dalla piccola Sterling Jerins che sarebbe capace di sciogliere un iceberg solo con un’occhiata e qualche semplice parola appena sussurrata.
Inevitabilmente, la trama, per quanto in buona sostanza scorrevole, è scontata e costruita con un eccesso di elementi compassionevoli, tra malattie mortali, droga, condanne ingiuste e una bimba lasciata alla mercé del mondo.
In questo modo, rischia di figurare come svenevole, anche quando non strettamente richiesto, oltre che prevedibile, con un versante sentimentale a seguire un tragitto di comodo, tra lacrime e gioie, arrivando comunque a scalfire il cuore, grazie a personaggi cotti a puntino e interpreti che ben conoscono il loro compito.
In più, qualche battuta ricorda le commedie brillanti, agendo soprattutto sul personaggio di Michael Douglas, i cui confronti con la madre sono i più scoppiettanti, ma presenta anche alcuni scivoloni incauti, tra qualche uscita più greve e sequenze esagerate, come un parto casalingo con tanto di fintissima suspense a sfidare più di un pudore.
Tutto comunque nei pressi della prevedibilità più smaccata, per una commedia all’acqua di rose, con un Michael Douglas che in chiave scorbutica, quando non proprio razzista, regala i momenti migliori.
Ordinario e diligente, con qualità tendenti al ribasso.
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