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The Empty Home

Regia di Nurbek Egen vedi scheda film

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La recensione su The Empty Home

di OGM
7 stelle

Senza casa. L’unica patria di Ascel sono i suoi sogni di riscatto.  Lei è una ragazza kirghisa orfana di madre, che il padre dà in moglie ad un piccolo boss di campagna, per pura e semplice disperazione. Inizia così una storia sbagliata, che non fa che sbandare, mentre punta verso la direzione giusta. La ricerca della libertà è il viaggio impossibile: un’odissea grottesca e miserabile, in cui l’unico eroismo previsto è quello di chi riesce a sopravvivere nel breve intervallo tra una fuga e l’altra. Ascel scappa il mattino dopo il matrimonio. Va via da sola, venendo meno alla promessa fatta al ragazzo che ama, e dal quale aspetta un figlio. La donna è giovane  e rifiuta ogni vincolo che le impedisca di sapere chi è davvero. La prima tappa è un salone di bellezza di Mosca, dove si fa tingere i capelli ed applicare lunghe unghie decorate. Sembra il principio di una rinascita in senso moderno, se non fosse per il fatto che Ascel sa cosa vuole, ma non ha i mezzi per ottenerlo. È dunque destinata a vivere nella precarietà,  facendosi sfruttare, mostrandosi disposta a tutto pur di avere un po’ di denaro. Persino a vendere il suo bambino ad una squilibrata, venuta apposta dalla Francia per soddisfare il suo folle desiderio di maternità. Se la realtà è storta, anche la sua filastrocca è stonata. È un po’ come Ascel, che è convinta di poter essere una brava cantante, ma forse non è in grado di azzeccare una nota. Ci sono favole che nascono da menti di scarso talento, eppure continuano ad inseguire il loro lieto fine, arrancando tra avventure improbabili e desolatamente tristi. La ballata della sfortuna è, per sua natura, un canto spaesato. Ascel ne segue la danza nevrotica, senza mai cedere alla tentazione di  mollare tutto. Non perde nemmeno un’occasione di compiere scelte avventate, e di cacciarsi dunque, inevitabilmente, nei guai. Intanto, intorno a lei il mondo prosegue il suo anomalo girotondo, in cui nessuno sembra a proprio agio, nemmeno nella ricchezza, nemmeno nelle posizioni di potere. Il disadattamento è generale. La Russia dei giorni nostri si presenta come un caotico patchwork di illusioni, di goffi tentativi di essere felici, in cui alle pezze colorate della miseria si aggiungono i toni eccentrici del benessere, in uno stridente calderone di anime perse. Sarebbe la riedizione del classico carrozzone balcanico del dopoguerra, se solo ci fossero in ballo dei sentimenti veri, almeno qualche traccia d’amore venata dagli strascichi dell’odio. Invece le emozioni tacciono, e si lasciano sovrastare da un gusto kitsch privo del beneficio dell’ironia: una smorfia applicata sul nulla, che sottolinea meglio di qualunque caricatura il senso di una deriva senza carattere. Quell’insieme informe è la casa vuota in cui gli uomini si aggirano come spettri, incapaci di interpretare qualsiasi parte che non sia malamente improvvisata, difficile da condurre verso un epilogo sensato. L’idea fondante di questo film è lasciare che gli eventi si sviluppino nel peggiore dei modi, senza quello slancio di inventiva che potrebbe farli declinare verso la tragedia. È chiara la volontà di far rimanere tutto così, acerbo e sfilacciato, surreale ed eccessivo, ben lontano dalla dignità del dramma. La giostra deve continuare a girare, facendo sfilare i suoi pupazzi, ora ridenti, ora piangenti, sempre pronti a voltare pagina in un attimo, e come se niente fosse, a volare via senza nemmeno un cenno di saluto. Tanto non c’è niente che funzioni: persino le fantasie partono zoppe, e prima o poi si inceppano.    

 

Questo film ha rappresentato il Kirghizistan agli Academy Awards 2013.

 

scena

The Empty Home (2012): scena

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