Regia di Dorothy Darr vedi scheda film
Quando, nel 1990, uscì l'autobiografia di Miles Davis, scritta insieme a Quincy Troupe, tra le molte cose che mi colpirono ce ne fu una che riguardava Charles Lloyd: il Miles gloriosus ne parlava come una punta d'invidia, per l'incredibile capacità che il sassofonista americano ebbe di traghettare il popolo del rock sulla sponda del jazz (basterebbe ricordare il disco con i Beach Boys, negli anni '60, quando questi erano all'apice della popolarità, o quando Lloyd divise il palco con Hendrix e Janis Joplin, al Fillmore). Mi pareva incredibile che quella che era stata la stella più luminosa del firmamento jazzistico parlasse con un senso di velata competizione di un musicista che avevo conosciuto da poco, in concomitanza col fatto che Manfred Eicher, proprio nel 1990 - quando venne pubblicato Fish out of water - riportò Lloyd sotto i riflettori, regalandogli una seconda vita. Quella vita incredibile, fatta di strappi improvvisi e repentini cambiamenti di direzione, che la moglie Dorothy Darr, con lui dal 1968, insieme a Jeffery Morse ha cercato di ricostruire attraverso questo documentario pubblicato proprio dall'etichetta bavarese, che ha dato al 76enne di Memphis la parte più elegante della sua traiettoria musicale.
Il documentario, che si avvale di materiale fotografico di strabiliante bellezza, di filmati d'epoca e di moltissime testimonianze di chi ha lavorato e conosciuto Lloyd, rimane per le quasi due ore di durata sul solco di un registro cronologico molto ordinato, convenzionale: dagli esordi a fianco di giganti come Chico Hamilton, Gabor Szabo e Cannonball Adderley, fino allo straordinario successo ottenuto con l'album Forest Flower (pochi ricordano che il sodalizio tra Keith Jarrett e Jack DeJohnette partì dallo scouting di Lloyd, prima che i due passassero alla formazione di Davis), album che raggiunse un milione di copie vendute e che gli diede l'occasione, durante la guerra fredda, di essere il primo americano a suonare in Unione Sovietica. L'impatto con successo fu così dirompente che qualcosa si spezzò: nella vita di Lloyd entrò l'eroina e uscirono i concerti e le registrazioni in studio per quasi vent'anni. Dopo il tentativo di Michel Petrucciani di riportarlo alla musica, fu il guru dell'ECM Manfred Eicher a restituire smalto al genio di questo musicista straordinario, il quale si era ritirato nella foresta del Big Sur (dapprima in una grotta), era diventato fruttariano (nemmeno vegetariano…) e aveva cercato una pulizia interiore attraverso le filosofie orientali di ispirazione religiosa e i viaggi in India che lo avrebbero in seguito portato a suonare con Zakir Hussain.
Documentario imperdibile per chi ama la musica di Lloyd, impreziosito dai molti ritagli di intervista nei quali è lui stesso a raccontare la sua vita fuori dall'ordinario.
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