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Maze Runner - Il labirinto

Regia di Wes Ball vedi scheda film

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La recensione su Maze Runner - Il labirinto

di scapigliato
8 stelle
Il primo capitolo di una nuova trilogia young adult di taglio fantasy-postapocalittico non risente dell'anchilosamento del genere e non teme il confronto con i titoli pionieri e più acclamati. Wes Ball fa meglio della Hardwicke e di Bill Condon, gestisce la storia con più mestiere di Gary Ross e sa battere la Twilight Saga e Hunger Games (2012) sul loro stesso territorio.
Se nel franchise dei romanzi della Meyer il patetismo della storia e la languidità dei personaggi, incasellati in un new-gothic sdolcinato e senza perturbazioni in cui il coté horror viene ampiamente depotenziato e involuzionato verso una deriva patetico-melodrammatica, sono la cifra stilistica e autoriale della produzione; e se nel primo capitolo di Hunger Games la velocità della trama, i buchi di sceneggiatura, la linearità televisiva dello sviluppo narrativo e l'assenza di appeal cinematografico ne hanno fatto un'occasione persa, in Maze Runner Wes Ball confeziona un film narrativamente perfetto. Non avvertiamo imprecisioni, pochezze e buchi di sceneggiatura. Tutto è calibrato, nulla viene lasciato al caso e al tempo stesso nulla viene spiegato per supplire all'assenza del testo. Tutto, invece, viene narrato. Lo spettacolo si spiega davanti ai nostri occhi senza puerilità.
La regia inoltre ha il pregio di saper giocare con il genere. Utilizza con mestiere gli schemi narrativi classici e sa essere avventurosa quando c'è avventura, orrorifica quando entra in gioco l'horror e sa giocare la carta action quando il gioco si fa duro.
Forse l'unico difetto è la sua stessa natura di primo capitolo di una trilogia. L'episodio è in parte autoconclusivo, ma l'apertura finale ci lascia in sospeso. E al di là dell'eccitazione e la curiosità di una nuova avventura là da venire, la completezza della storia e dei suoi caratteri, nonché del suo immaginario resta per ora in sospeso, dimezzando buona parte dell'apprezzamento totale del film.
Un punto a favore è invece la presenza di Dylan O'Brien, attore fisico e nervoso, capace di sterzare la monotonia degli teen-hero di oggi, fatti con lo stampino, grazie alla sua freschezza e all'intuizione attoriale che lo accompagna fin dalla serie Mtv Teen Wolf, dove il suo Stiles è diventato un vero e proprio personaggio di culto - oltre ad essere l'unico attore del cast ad aver iniziato una brillante carriera da solista.
Maze Runner inoltre scatena un certo interesse per l'impostazione generale dell'opera, l'immaginario a cui attinge e i generi che incrocia. Sviluppata su tre capitoli, forse quattro, la serie non si fissa in un unico ambiente e con un'unica azione spalmata in più episodi. Ognuno di loro ha il suo scenario e con esso scaturiscono un nuovo immaginario e nuove figurazioni. Il primo capitolo, Il Labirinto, crea l'azione da una situazione di chiusura, genera il conflitto dalla pressione dell'intrappolamento. La "gabbia" dove si cresce e ci organizza come in un villaggio, con ruoli, mansioni e gerarchie di potere, amicizie e conflittualità, ha come unica via di uscita un enorme labirinto fatto da giganteschi monoliti che ogni notte si combinano tra loro in modo diverso. Per il resto è un villaggio circondato da altissime mura invalicabili e adornato da un piccolo bosco che permette incontri e trame segrete. Parole chiave, quindi, sono intrico, confusione, ginepraio, dedalo, labirintico.
Nell'anticipazione del successivo capitolo della serie sappiamo invece che i Radurai sopravvissuti al Labirinto e ai suoi Dolenti dovranno affrontare una seconda prova attraverso la Zona Bruciata, una vastissima landa dove tutto è sabbia, arsura, città fantasma, sole e luce... insomma, un western. Così, cambiando scenario, cambiano i vettori dell'azione, il senso profondo delle simbologie archetipali e il ruolo delle figurazioni.
Questo aspetto dell'impostazione dell'opera può esserne un pregio, ma anche un difetto. Lo dirà il tempo. Da questo primo capitolo risulta comunque interessante l'uso e la resa che il regista fa dell'immaginario a disposizione. Purtroppo il mito del Minotauro è solo sviluppato per metà. C'è un labirinto, ci sono dei ragazzi sacrificali che devono venirne fuori, c'è pure Arianna, ma non c'è nessun mostro tauriforme, che è poi l'elemento più importante e fondante del Mito. Mentre il tema della "minaccia meccanica" è invece espresso attraverso operatori di indubbia importanza narrativa come il labirinto stesso i cui ingranaggi sono l'aspetto più inquietante della sua mostruosità e come i Dolenti, dei ragnoscorpioni giganti in parte meccanici e in parte animali a cui è affidato il ruolo di cacciare i ragazzi persi nel labirinto.
Un'altra occasione persa, forse anche per colpa dell'assenza del Minotauro, da sempre simbolo di una sessualità animalesca, è la mancanza appunto di un sottotesto sessuale. In un ambiente di soli maschi, tutti pre e post adolescenziali, come in tutti i luoghi simili, dalle caserme, alle prigioni e ai seminari, è impossibile che non ci siano tensioni omoerotiche, data anche l'importanza che gli autori, Dashner e Ball, danno all'immagine simbolica del labirinto, del caos interiore, della ricerca della propria identità. O fanno tutti come Adriano Celentano ne Il Bisbetico Domato (1980) che esce a tagliare la legna per sfogarsi, oppure qualcosa dovrebbe pure accadere.
Così come non c'è traccia di tensioni sessuali dopo l'arrivo di Teresa, l'unica femmina dei Radurai. In questo aspetto il film purtroppo prende la deriva edulcorata e puritana dell'intrattenimento teen americano, senza perturbazioni, dialettiche o problematiche varie - fa molto meglio per esempio, e lo fa egregiamente la serie tv Teen Wolf prima menzionata. 
Sicuramente, l'abbinamento tra il contenuto - la ricerca della propria identità - e la forma - il labirinto da cui uscire - è ben reso e sviluppato. Un archetipo classico, orfano del dispositivo più vincolante, la mostruosità taurina, ma ugualmente funzionale ad una storia ben sceneggiata, ben montata e ritmata, mai banale e mai scontata. E nel caso ci fossero passaggi prevedibili la regia è stata in grado di confezionare il tutto con tanto mestiere da non farci pesare la proverbiale "banalità" del mondo teen del nuovo millennio.
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