Regia di Sabina Guzzanti vedi scheda film
La Guzzanti ci dimostra quanto è la più bella, la più intelligente, la più brava e la più meglio mettendo in burletta la mafia con una serie di squinternate gag demenziali.
Non serve a niente dire cose giuste, se le si dice nel tono sbagliato. Ridicolizzare la mafia è un ottimo modo per sminuirne la portata, per impedirle di fare paura, ma condurre un'intera inchiesta giornalistica - e #LaTrattativa è esattamente questo - a suon di gag, lazzi, imitazioni cabarettistiche di quart'ordine e sketch sgangherati è qualcosa di realmente imbarazzante. Sì: vedi #LaTrattativa e ti imbarazzi per la Guzzanti, sceneggiatrice, regista e attrice di sicuro valore, cresciuta moltissimo negli anni, ma al tempo stesso in possesso di un ego spropositato, incontrastabile, che nulla e nessuno può scalfire e che la porta a ridicolizzare la sua stessa opera, pur meritevole di attenzione. In secondo luogo #LaTrattativa (ma perchè, santo cielo, quell'orrendo e squalificante hashtag?) dice cose giuste all'indicativo, mentre per quelle importanti riserva sempre il condizionale; e certo, se non vuoi finire in galera, si capisce. Perchè, in fin dei conti, tutto quello che di 'meno noto' (di inedito non c'è nulla, sia chiaro) e di maggiormente interessante o addirittura sconvolgente presso l'opinione pubblica, tutto quello che il film dice di fondamentale - non poco - è costantemente messo fra virgolette, non potendo accertare niente al cento per cento. Il che ovviamente non è colpa della regista: non avere effettivi colpevoli, ricostruzioni definitive o addirittura processi su certe situazioni scottanti è uno degli effetti della presunta trattativa fra Stato e mafia, ovvero degli accordi che si sostiene pattuiti fra la politica e Cosa nostra nella prima metà degli anni Novanta, quando per far cessare l'escalation di attentati e stragi mafiose ci si ritrovò sostanzialmente costretti a creare un partito ad hoc, capace di contenere i voti della malavita organizzata e di portare nel cuore dello Stato le sue richieste e necessità (quel partito è Forza Italia, come se esistesse il dubbio). Tutto questo non si può dire con certezza, anche se gli indizi che aiutano a ricostruire tale percorso sono forti e spesso evidenti; sacrosanto farci sopra un film, ma un documentario - e non una fiction demenziale - sarebbe stata la forma più corretta, apprezzabile e capace di essere presa sul serio. Fra gli attori anche Ninni Bruschetta, le musiche sono di Nicola Piovani e la (bellissima, non è una novità neanche questa) fotografia di Daniele Ciprì, il cui apporto forse non si è limitato alla direzione delle luci. La scena di Dell'Utri con la squadretta di calcio sembra infatti materiale da Ciprì e Maresco, dotato di quella ingenua ignoranza calcolata, di quei toni surreali del cinema della coppia sicula; inserita fra dettagliati racconti cronachistici di fatti di mafia e collusioni eccellenti, invece, crea soltanto una cosa: imbarazzo. 4,5/10.
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