Regia di Sabina Guzzanti vedi scheda film
La coscienza ricattatoria del Giusto.
Maresco ha fatto Belluscone, e Ciprì, oltre a correre per fare il suo film assolo, quella Buca in cui solo la fotografia si salvava, mette il suo zampino anche sul discorso Trattativa Stato-Mafia, quello che la Guzzanti o chi per lei abbellisce in copertina con un bel hashtag (#latrattativa, eh si), dopo che Maresco aveva pure fatto cenno nel suo film su quell'argomento. Infatti Ciprì, nel film di Sabina Guzzanti, si occupa della fotografia. E come altre poche cose - presto dette -, è sempre quella a salvarsi. Elegante, coerente con il tono simil-brechtiano della cornice scenica, non troppo patinata e, niente da dire, curatissima in fatto di luci e chiaroscuri. Un po' cozzante, questo sì, con quella satira macchiettistica che ha reso la Guzzanti famosa in passato, ma quello è un altro discorso.
Un reportage televisivo "scomodo" sulle terribili collusioni Stato-Mafia prende vita nelle immagini de La trattativa, e non ci si spiega bene il perché lo stiamo vedendo sul grande schermo. E' una pietanza poco saporita che mette insieme ingredienti sgraditi, tutti riconducibili a quello fondamentale, l'ostentazione sensazionalista, quella che incoraggia lo spirito giornalistico a cercare lo scoop e ad affacciarsi sul grande pubblico dei festival (Venezia!), rifilandogli anche una bella tesi e dispensando colpe e meriti con l'arma della verità, come in una scalmanata e pretenziosa arringa da tribunale, da rendere più "raffinata" con un bel pretesto grossolano: il fatto che si tratti di una "recita". La compagnia di attori guidata dalla Guzzanti si mette in testa di ripercorrere quei terribili anni in cui la Mafia cercava un nuovo equilibrio con la classe dirigente e faceva piazza pulita dei politici del passato per arrotondare qualche compromesso con alcuni nuovi e su misura (Silvio Berlusconi) per essere lasciata in pace. Ripercorriamo eventi, l'eroico e quasi "maledetto" intervento di Falcone e di Borsellino, la cui misteriosa agenda rossa andò perduta; il ricatto che probabilmente fecero a Borsellino stesso; l'intervento di molti collaboratori di giustizia; il rallentamento causato dal comandante Mori nella pratica dell'arresto di Provenzano; l'intervento di Marcello Dell'Utri: una girandola di nomi, di piccoli nuovi luoghi comuni, inquietanti nelle attività illecite che portarono avanti ma certo obbiettivi su cui è possibile costruire, ormai, quasi degli "aneddoti". O almeno è questo il tono che si respira nel film della Guzzanti.
La trattativa è un thriller "vero" alla buona, con una spruzzata di corto circuito realtà-finzione per rendere il tutto più "interessante" e originale e una serie di notizie entusiastiche e quasi "giochicchianti" su telefonate, discorsi, piccoli avvenimenti: tutti quei passaggi che andavano bene per un programma in prima serata in qualche canale televisivo. Non, certo, al cinema: interessava alla Guzzanti il destinatario delle sue grandiose scoperte? Un destinatario non televisivo, ma cinematografico, festivaliero? Ne La trattativa non si respira un attimo di sincerità né di reale interessamento, è tutto soffocato dalla voglia di rivelare, di destare l'attenzione a tutti i costi (i personaggi parlano al pubblico, e quelli che lo circondano pendono forzatamente dalle sue labbra), di svelare curiosità proprio da "fame di notizia", più che da rivelazione sconcertante e destabilizzante. Sembra di saltellare fra gli allori dei nomi stranoti e di nomi meno noti ma sempre eroici o colpevoli: mai un attimo di ambiguità, quella, insomma, che è il seme germinale della Storia e di tutti i suoi avvenimenti. Perché anche oggi è Storia, e la Guzzanti trasforma l'oggi in articolo di giornale. Con la giustificazione della verità a tutti i costi, contornata dal "coraggio" di scherzarci su (le macchiette insopportabili di Massimo Ciancimino). E' evidente infatti grande incoerenza nel momento in cui la Guzzanti dice "tutte le fiction tv ritraggono Borsellino come martire pronto al sacrificio", e poi lei stessa lo vede in questo modo, in un finale a tesi un po' qualunquista. Siamo dalle parti della fiction tv, è detto chiaro e forte. E allora, cari Guzzanti, Ciprì e compagnia bella, che ci fate in una sala cinematografica, a coinvolgere banalmente la gente con lo strumento della rivelazione e non con quello della riflessione?
Semplicemente, l'uomo normale, quello che vive e ha vissuto in questo Paese, nella Trattitiva non esiste. Non c'è spazio per lui. Lo si può cercare in Belluscone (che costruisce in maniera brillante le sue impalcature CINEMATOGRAFICHE di realtà e finzione), ma qui è accennato per caso nel finale, e poi scompare, elemento scenografico dato per scontato. Che magari pure lui ha le sue colpe e i suoi pregi. No, è solo una grande bocca vorace da nutrire di notizie fino a sazietà. Per amore della verità.
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