Regia di Joanna Kos, Krzysztof Krauze vedi scheda film
Un'eroina che però non trova sufficiente celebrazione nemmeno in questa pellicola, eccessivamente ridondante e impregnata in quello che deve essere (o sembra dover essere) a tutti i costi il cinema polacco per definizione.
Le vicende, i personaggi e i luoghi indubbiamente esulano da quello che e' lo "standard" medio di molti film (almeno di quelli mainstream a cui la maggior parte della gente e’ abituata): una poetessa gypsy nella Polonia degli anni '40 che deve far fronte ai contrasti del suo background culturale in lotta col suo intelletto non comune (almeno alle persone con cui e' nata e cresciuta). Bella fotografia, uso di un buon b/n, ma in generale questa pellicola manca di pathos e di centralità: la storia di Papusza di diluisce fin troppo in quello che e' il contesto in cui si trova, cioè la comunità nomade (rappresentata come chiusa, gretta, meschina, maschilista e ignorante), itinerante negli anni.
La scelta stilistica di non presentare i fatti secondo una narrazione cronologica, ma saltando in maniera repentina e senza apparente connessione logica dal 1910 (anno della nascita della protagonista) fino agli anni ‘70/’80 della sua vecchiaia e assoluta solitudine (e anche malattia mentale), spesso risulta di difficile digestione, sebbene la ricerca storica sia dettagliata soprattutto per quanto riguarda la ricostruzione del contesto gypsy, in particolare della loro lingua, il Romani (ormai andata del tutto perduta) da parte della coppia di registi.
Un'eroina che però non trova sufficiente celebrazione nemmeno in questa pellicola, eccessivamente ridondante e impregnata in quello che deve essere (o sembra dover essere) a tutti i costi il cinema polacco per definizione.
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