Regia di Paul Thomas Anderson vedi scheda film
Splendido.
Paul Thomas Anderson si (ri)conferma (e non avevo dubbi, a riguardo) come uno degli ultimi e veri Autori del cinema contemporaneo, e non soltanto americano.
Personalmente non credo che sia un caso che questo suo ultimo film, primo (e probabilmente unico) trattamento di un romanzo di Thomas Pynchon, sia ritenuta un'opera “minore” della sua filmografia, perché è anche dalla qualità di certe opere, considerate minori e quindi, anche erroneamente, secondarie che si può e si deve determinare l'effettiva eccellenza del lavoro di un autore, scevri come sono dalle eccessive aspettative e attenzioni, anche sbagliate, di prodotti per così dire di maggior appeal per il pubblico (e della critica cosiddetta colta).
La chiave di lettura del film è nello stesso titolo, e intendo quello originale, ovvero “vizio intrinseco” che, indipendentemente dal termine tecnico, si può intendere generalmente come l'incapacità di un sistema, semplice o complesso, di sostenere l'instabilità generatasi al suo interno dai suoi stessi componenti, ovvero un sistema che si autodistrugge a causa della presenza di quegli stessi elementi che ne costituiscono il sistema stesso.
La maestria di Anderson sceneggiatore e regista ci porta quindi a diversi piani di lettura, sconcertandoci e depistandoci più volte ma lasciando allo spettatore il compito di collegare e comprendere più un senso generale delle cose e del mondo (e soprattutto di QUEL mondo!) che una non qualche verità in particolare.
Anche al cospetto di una trama inafferrabile e, volutamente, inconcludente, un labirinto di fatti e personaggi (soprattutto!) che si inseguono e avvicendamenti che si sfaldano senza alcuna soluzione di continuità, ma riuscendo comunque a catturare l'attenzione e l'interesse dello spettatore tanto in Doc Sportello (uno splendido Joaquin Phoenix) che nella sua “nemesi” Bigfoot Bjornsen (l'altrettanto ottimo Josh Brolin), nemici/amici e contraltari l'uno dell'altro, e, al contempo, nel raccontare la parabola e la fine imminente di un (molto) ipotetico nuovo Eden, quello hippie e rivoluzionario/utopistico degli anni '60, che si sgretola di fronte alla realtà (quella vera e non quella provocata da sostanze chimiche) e alla natura dell'uomo, oltre che ai propri errori e alle proprie incapacità, ovvero proprio quel “vizio intrinseco”, di sistema ma in questo caso inteso come società, di cui ho precedentemente detto.
Ma raccontato come se tutto fosse avvolto da una nuvola di cannabis.
Splendida sorpresa, infine, Katherine Waterson, brava e sensuale, non solo “musa” di Doc ma anche incarnazione e spirito (o dovrei dire fantasma?) di quegli stessi anni '60 e'70: indipendente, eccitante e affascinante almeno quanto incoerente, capricciosa e volubile.
VOTO: 8
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