Regia di Paul Thomas Anderson vedi scheda film
Un malinconico ritorno verso una delle epoce più vive e straordinarie di sempre.
La trama di Inherent Vice, settimo film di Paul Thomas Anderson, è ingarbugliata, confusa, sfilacciata, intricatissima. Vero. Rincorrere per ben 148 minuti le varie vicende che si affastellano l'una su l'altra, i numerosi personaggi che appaiono e scompaiono senza neanche a volte riuscire ad affezionarsi o entrare in empatia con loro non è impresa facile. E' vero. Ma il cinema è, almeno per il sottoscritto, una questione di "sguardo". La "trama" assume un'importanza solo grazie al modo in cui l'autore ce la racconta con il suo sguardo. Sguardo che anche in assenza di trama si fa esso stesso trama del racconto per immagini. I motivi per i quali ho amato alla follia Inherent Vice, il film della cui trama si capisce ben poco, sono molteplici: il principale è ovviamente perchè mi tocca esattamente le corde visive ed emozionali che voglio mi siano toccate, poi perchè mi riporta con malinconia al cinema del compianto Robert Altman (l'influenza di The Long goodbye si sente molto), infine perchè mi restituisce in pieno lo spirito e l'atmosfera di un'epoca che, pur non avendo avuto la fortuna di vivere, reputo straordinaria. Per 2 ore e mezza non ero a casa mia davanti lo schermo di un pc, ma nella Los Angeles di fine anni '70. Immerso in quell'atmosfera e in quei luoghi carichi di innocenza, passione, senso di libertà. Fondamentale l'uso della tecnica, forma e sostanza si amalgamano dolcemente: l'occhio sapiente di Anderson (lo sguardo) inquadra, fotografa, costruisce immagini e scenari con una perizia e una sensibilità degni veramente di un grande autore. Regalandoci cosi una serie di momenti sublimi: la corsa hippie di Shasta e Doc sotto una pioggia battente è già indelebile.
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