Regia di Paul Thomas Anderson vedi scheda film
La magica luce della California, le congiunzioni astrali, sandali, piedi sporchi e basette, l’erba su un tavolino basso davanti ad un divano, i corpi seminudi delle ragazze e i loro lunghi capelli, i viaggi acidi, lo spirito di un tempo, scomparso, andato, perduto, una ricostruzione delle case, delle strade, dei punti d’incontro, una riscrittura, attraverso le immagini, dei modi di pensare ed essere. California, fine anni ’60 - primi anni ’70, un’utopia che il cinema, la musica e la letteratura ci hanno raccontato, un luogo d’incanto (o di paura) - dipende dall’andamento del trip, un luogo in cui si può ritornare, come a casa, grazie a P.T. Anderson e alla sua ultima pellicola. Vizio di forma è un viaggio di ritorno, al crepuscolo, malinconico, ci si ritrova davvero lì, accanto a Doc Sportello, se ne respira l’aria o la puzza (di scorreggia al patchouli), l’odore di marijuana, si sentono le vibrazioni, troppe volte negative, perché la paranoia striscia, come effetto dell’erba fumata, perché la realtà di quegli anni è per forza di cose filtrata dall’uso delle droghe e da queste condizionata. E’ stata la creazione di un mondo alternativo, la cui chiave d’accesso erano le sostanze, gli Stati Uniti offrivano ben poco, l’orrore del Vietnam era duplice, chi ci andava e chi lo vedeva su uno schermo, la polizia aveva poco senso dell’umorismo, capelli a spazzola e manganello facile, questa era la situazione su cui inventarsi qualcosa, la base di partenza, nascosto da qualche parte Pynchon (di cui chi scrive, per il momento, ancora non ha letto nulla) prendeva appunti, respirava quell’aria, si inventava personaggi, tutta la struttura del plot di Vizio di Forma è proprio accumulo e paranoia, la logica è bandita o è quella di un fattone, quindi inevitabilmente altra da quella tradizionale. Centri massaggi cinesi, in cui la specialità della casa è il pussy-eating lesbico, velieri ad un passo dal mito e dalla leggenda, che trasportano eroina dal triangolo d’oro, una serie di personaggi al di là di ogni possibile connotazione contemporanea, i rallentamenti, i ricordi di una giornata sotto la pioggia, forse l'amore, lo slang linguistico, il modo di parlare, perché, dopotutto, sono anche le parole a creare il mondo in cui viviamo, una narratrice che ci accompagna, sovrapponendo la sua voce roca&calda a quella degli altri, Johnny Greenwood si avvicina a Neil Young, si fanno di LSD su un pick-up nell’ora del tramonto, le dolci armonie acustiche, ad accompagnare Doc nei suoi spostamenti, ci siamo anche noi insieme a lui, con gli occhiali da sole dalle forme geometriche, i capelli lunghi, uno spino in mano che sta per finire e che buttiamo via solo dopo che ci abbia bruciato le punte giallognole delle dita.
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