Regia di Paul Thomas Anderson vedi scheda film
Paul Thomas Anderson è un regista che ama le sfide e stavolta ne affronta una davvero coraggiosa: adattare un romanzo di Thomas Pynchon, massimo rappresentante del post-moderno nella letteratura americana contemporanea. Io non ho mai letto nulla di Pynchon e non credo che lo farò mai, poiché una struttura romanzesca così labirintica e quasi indecifrabile non mi attira molto; sono invece un fedelissimo del regista e ho visto con grande interesse il film, che secondo me non delude affatto, anche se riconosco che alla prima visione anch'io mi ero perso nei meandri dell'intreccio, mentre ad una seconda tutto si è chiarito più agevolmente. La sceneggiatura firmata dallo stesso Anderson è complessa e stratificata e risente della lezione chandleriana che già aveva ispirato "The long goodbye" di Altman, vero nume tutelare dell'operazione, così come "Short cuts" era alla base di "Magnolia"; non mi sembra un film che si diverte a confondere lo spettatore in modo premeditato, però almeno in certi punti una maggiore chiarezza in certi dettagli un po sfuggenti avrebbe giovato. Pienamente riuscita la rievocazione degli anni Settanta, con una fotografia di Robert Elswit a tratti cupa e a tratti squillante; la narrazione in voce off della bella Sortilege è funzionale ad aggiungere tocchi di atmosfera pynchoniana, all'insegna del disincanto; i dialoghi sono fitti, talvolta disorientanti ma ricchi di perle che appartengono al miglior repertorio Andersoniano. Secondo me siamo almeno un gradino al di sotto di Magnolia, Il petroliere e anche The master che non deve essere sottovalutato, ma resta un film umorale, ricco di folgorazioni, di brani affascinanti per virtù di stile (soprattutto le scene in cui appare Shasta, sia il flashback del bacio sotto la pioggia, sia il confronto nel pre-finale in cui lei completamente nuda rivela particolari torbidi e viene posseduta da Doc in modo doloroso ma allo stesso tempo liberatorio ). E quale altro regista del cinema odierno sa dirigere un cast del genere a questi livelli? Joaquin Phoenix è ancora una volta eccezionale nel ruolo del detective drogato e survoltato, con appropriato look da fattone, ma fra i caratteristi spiccano almeno un Josh Brolin finalmente usato al meglio delle sue possibilità, l'affascinante newcomer Katherine Waterston davvero incisiva nel ruolo di Shasta e un Owen Wilson che rende bene il desiderio di redenzione del suo personaggio. L'Academy non ha gradito neppure stavolta, ma resta un problema suo, e comunque sprofonda nel ridicolo quando concede l'ennesima nomination ad Anderson per il copione e poi lo fa battere da quello di "The imitation game", inferiore da ogni punto di vista. Come si fa a non ricompensare un regista che rimane uno dei pochi ad osare qualcosa di originale ad ogni nuovo film? Come si fa a non premiare una colonna sonora così suggestiva come quella di Johnny Greenwood, che già aveva scritto le musiche di "There will be blood?", con corredo di hit dell'epoca mai invasive e sempre ben integrate alle immagini? Insomma, per essere un rompicapo alla "Big sleep" in versione Howard Hawks, come qualcuno lo ha definito, il bilancio è certamente onorevole.
Voto 8/10
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